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07 Dicembre 2012, 10.15

Psicologia - Genitori/1

I segnali del disagio nei nostri figli

di Gianpiero Rossi
Gianpiero Rossi affronta in questo primo di due articoli sul disagio tre comportamenti che si manifestano nei bambini e nei ragazzi: irrequietezza, timidezza e rabbia. E per ciascuno qualche consiglio per i genitori su come aiutare i propri figli
 
Ho spesso genitori che si rivolgono per problematiche dei figli, ma non sempre è possibile motivare il figlio a fare un percorso psicologico su di sé
 
In questo caso non posso che aiutare il genitore a risolvere direttamente la situazione. In alcuni casi è anche la soluzione migliore per ridare fiducia al genitore nelle sue capacità di educazione dei figli.
 
Vediamo alcuni dei problemi tipici in cui il disagio si manifesta e come gestirlo.
 
L'irrequietezza
E’ chiamata anche iperattività. E’ agitato, non solo di giorno ma anche di notte. Instancabile, sempre in movimento ed incapace di soffermare il proprio interesse ed attenzione nel tempo. Si distrae quindi rapidamente, cambiando gioco o attività. A scuola non riesce a stare nel banco. La difficoltà a concentrarsi lo limita nel rendimento e apprendimento. Anche nel rapporto con gli altri può essere disturbante, nervoso nei suoi interventi, interrompendo i discorsi degli altri e ponendo domande a volte fuori luogo.
 
Chi gli sta intorno s’innervosisce a sua volta. Le punizioni non ottengono nulla: si calma per un po’ e poi riprende da capo anche più di prima. I genitori, a fronte di questo problema d’ansia rischiano di peggiorare la situazione irritandosi e portando altra tensione fino a farlo sentire travolto dalle sue paure ed incompreso. Il bambino nel suo disagio in continuo movimento comunica la sua angoscia e cerca così di placarla scaricando la tensione, come fanno anche molti adulti agitati.
 
Come aiutarlo?
Comprendere questo bisogno sottostante al comportamento di disturbo, facendolo esprimere all’interno di un dialogo fatto d’attenzione, sostegno e ascolto attivo. Ha bisogno di un appoggio stabile nei genitori che trasmetta quella calma e sicurezza che ancora non ha. Così come ha bisogno di qualcuno che nell’attesa di questa evoluzione sia in grado di tollerare la sua ansia ed offrire un modello di riferimento a cui ispirarsi.
 
Purtroppo nell'assurda frenesia che ci circonda è difficile non ricadere noi stessi in un continuo e veloce susseguirsi di attività dove più corriamo, più siamo perennemente insoddisfatti, stressati e angosciati da altri impegni che ancora vorremmo fare. Diamo noi prima l’esempio di fermarci quando è necessario e soffermarci con la giusta qualità e ritmo che meriterebbe il nostro stile di vita.
 
 
La timidezza
Può costituire un vero e proprio disturbo psicologico se compromette il normale rapporto con la realtà e se altera il rapporto con gli altri. Può risolversi acquisendo sicurezza e fiducia in sé e negli altri.
 
E’ normale che dopo i tre anni, quando si apre alla relazione, sia impacciato ed insicuro. E’ un disagio quando la preoccupazione e l’ansia per ciò che pensano gli altri sono tali da bloccare il suo comportamento fino a rinchiudersi in sé e isolarsi.
 
Riconosciamo i segnali di un silenzio eccessivo, se si isola dal gruppo, non partecipando al gioco collettivo o rifiutando di interagire con i compagni. Evita di fare domande nel timore di risposte negative e preferisce ritirarsi.
 
A volte ha problemi di linguaggio, fino alla balbuzie. In altri casi evita tutte quelle situazioni difficoltose dichiarandosi subito incapace.
 
Come aiutarlo?
Evitare un rapporto eccessivamente protettivo spesso caratteristico delle madri, che non lo aiuta di certo ad acquisire autonomia ed indipendenza.
 
I padri dovrebbero lasciare andare l’autoritarietà ed esigenza sui tempi di espressione o su abilità eccessive. Di fronte agli inevitabili sbagli o insuccessi risparmiare rimproveri, giudizi negativi e critiche persistenti, in modo da contenere gli effetti par lui dannosi delle frustrazioni. Devono essere rassicurati, confermati, gratificati da conferme positive.
 
 
La rabbia
Può esplodere o essere repressa: in quest’ultimo caso si trasforma in frustrazione ed insoddisfazione, oppure senso di colpa e paura della propria aggressività. La funzione della rabbia è un meccanismo di protezione dalle minacce, dall’ingiustizia, sopraffazione, violenza. Consente al piccolo di difendere i propri diritti.
 
Ma la rabbia è difficile da accettare, specie se espressa male. Ci spaventa e la reprimiamo sul nascere; la liquidiamo dicendole che sono capricci. Mentre dentro di sé può pensare: “perché non stai con me e non mi ascolti”? “Perché non mi domandi cosa è successo prima di punirmi?” “Perché te la prendi sempre con me per il solo fatto si essere più grande di mio fratello?
 
Come aiutarlo?
Permettendogli di esprimere i suoi sentimenti, anche quelli più imbarazzanti, invece di reprimerli. Contenere la rabbia in forme adeguate di espressione ma non reprimerla. La rabbia repressa può trasformarsi in risentimento e aggressività distruttiva. Rispettare le emozioni in atto significa aiutare a gestirle, contenerle e permettere opportunità accettabili di comunicazione.
 
Nella seconda parte di questo articolo verranno descritti i disagi che si nascondono dietro le bugie, i furti, i disturbi alimentari.
 
Gianpiero Rossi
c/o Studio di Medicina Clinica via Pasubio 6, Lumezzane. 030.826409

 

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