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10 Luglio 2012, 10.00

Filosofia

Nei tragici interstizi dell'italiana figura di fantozzi

di Alberto Cartella
La riflessione filosofica di questa settimana continua il discorso sulla cinematografia, partendo dal cinema come possibilità di un nuovo pensiero e analizzando la tragicità di un personaggio italiano per eccellenza, il ragionier Ugo Fantozzi
 
La cinematografia (non quella mediocre) è pensiero, ma non solo. Essa è anche immagine, insomma si potrebbe dire che è immagine-pensiero. In essa quelle cose cui manca la parola trovano espressione nell’immagine e nel gesto, creando una costellazione.
 
I grandi autori del cinema possono essere paragonati non soltanto ad altri artisti, quali architetti, pittori o musicisti, ma anche a dei pensatori, che pensano attraverso delle immagini al posto dei concetti.
 
Il cinema riporta il movimento all'attimo; esso non cerca il “tutto”, poiché c’è movimento solo se il tutto non è né può esserci: appena si esibisce il tutto, il tempo diviene immagine dell'eternità e non c'è più spazio per il movimento reale che è puro divenire.
 
Si apre così la possibilità per un nuovo pensiero del quale il cinema diventa il portavoce. Questo pensiero cerca il singolare, in ogni istante qualsiasi.
 
L’inquadratura, il piano e il montaggio sono i mezzi attraverso i quali il cinema costruisce il suo sistema di relazioni tra immagini. Il montaggio rappresenta il tutto del film, l’idea che ci fa dono di un’immagine della durata e del tempo reali (non quelli astratti dell’orologio). Esso è fatto da sovrapposizioni che esprimono l’idea di una congiunzione fra ciò che è stato e ciò che è, in una forma anarchica e da discontinuità che producono l'idea di un’interruzione.
 
Nella letteratura e poi nella cinematografia italiane c’è un uomo che è il più sfortunato in assoluto e ogni sua azione va a finire in catastrofe. Quest’uomo risponde al nome di Fantozzi, il quale è un personaggio tragico, non comico; egli si trova su una soglia, in un interstizio fra un mondo e un altro, restituito solo dalle immagini e dai gesti, non da un discorso razionale volto a una spiegazione comprensibile.
 
Fantozzi sa quale sarà il suo destino eppure corre alla settimana bianca, al mare e finirà in una maniera oscena. Inoltre, il suo nome nelle varie pellicole viene sempre storpiato e se ci pensiamo è la cosa che offende di più una persona.
 
È un personaggio senza speranza e ossessionato dal potere perché ha paura. È un uomo che sa di essere inutile e che se muore o un giorno si ammala, in ufficio nella megaditta non se ne accorge nessuno. Fantozzi, essendo ossessionato dall’idea di essere del tutto inutile, cerca disperatamente il servilismo.
 
Egli, però, ha liberato gli italiani dal timore di essere isolati in un certo tipo di incapacità a vivere, a essere felici. In quel tipo di sfortuna e di incapacità a essere felici secondo i dettami della cultura consumistica proveniente dall’America, lui faceva le vacanze, andava alle settimane bianche e al mare su delle spiagge infernali, faceva le code e alla fine tornava massacrato e assolutamente infelice.
 
Gli italiani vivevano la stessa tragedia e avevano paura di essere anomali. Fantozzi ha detto loro di non essere dei fenomeni isolati e che tutti quelli che subiscono quel tipo di cultura sono destinati a essere infelici. All’inizio Fantozzi pensa di essere un malato di mente, uno che non si sa adattare, ma alla fine è un brav’uomo e soltanto a chi ne è privo la speranza può esser data.
 
Per quanto riguarda la cinematografia si sente spesso utilizzare l'aggettivo “italiano” in termini dispregiativi, ma come abbiamo visto con Fantozzi questo utilizzo andrebbe rivisto e l’accezione “italiano” dovrebbe far riferimento a un luogo e a delle comunità che possono esprimere cose belle o cose brutte come tutte le altre comunità situate in altri luoghi.
 
Bisogna dire, però, che i termini bello e brutto hanno molto di “soggettivo” anche se non tutto, perché se si afferma che una cosa è bella, lo si dice in quanto si fa riferimento a quei processi che si scatenano in ogni individuo quando incontra una cosa bella. Questo accade comunicando lo stato d’animo che scaturisce dall’incontro con questo qualcosa che si giudica bello.
 
Queste considerazioni (soprattutto quelle sullo statuto ontologico del cinema) sono state rese possibili dalla lettura di alcune riflessioni di Gilles Deleuze e dall’incontro con il pensiero di Walter Benjamin.
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