Le parole non riproducono e non designano; questo vuol dire che non vi è un rispecchiamento nella parola. Essa non è un genere universale, non è parte costitutiva comune in una serie di singole cose omogenee o simili.
Tutto il lavoro di Aristotele è consistito nel concepire l'essere come l'essente. Questa frase diventa un po’ meno astratta (non molto meno) se la si lega alla concezione secondo cui degli esseri meno esseri partecipano al sommo essere.
Il problema si costituisce se si considera che ciò che rimane certo della modalità di pensiero della scienza tradizionale (tradizionale in quanto ci viene dal pensiero di Aristotele) è il suo classicismo, cioè la classificazione Aristotelica.
Il procedimento consiste nel salire da una specie al genere superiore lasciando cadere una determinata nota che fino a quel punto era stata mantenuta e facendo rientrare nell'ambito considerato un più vasto campo di oggetti.
All'inverso si compie la specificazione del genere mediante la progressiva aggiunta di nuovi elementi formanti la comprensione del concetto. In altre parole nel pensiero di Aristotele si tratta dell’individuo considerato come specificato.
Il sommo essere è ciò che vi è di più astratto. In Aristotele la definizione del concetto mediante il suo genere prossimo e la differenza specifica rispecchia il processo in virtù del quale la sostanza reale si dispiega successivamente nei suoi particolari modi d’essere.
Il concetto-genere è un’astrazione (estrazione) dell’essenziale dalle cose e in questo astrarre le note particolari delle cose in qualche modo decadono. In questo modo non si tiene conto che si tratta della relazione fra le cose, la quale non è delle cose. Alla base di questo c’è il pensiero secondo cui ciò che viene ottenuto con l’astrazione è al tempo stesso la forma reale, che garantisce il nesso causale e teleologico delle cose. Lo sbaglio della scienza tradizionale consiste nell’implicare che il pensato sia a immagine del pensiero, cioè che l’essere pensi.
La concezione della scienza del sapere umanistico, delle scienze umane si è definita in un certo modo con Aristotele. Per le scienze umane la condotta potrebbe essere osservata in maniera tale da chiarirsi tramite il suo fine. È su questo che si è sperato di fondare le scienze umane, cioè di inglobare ogni comportamento senza che vi sia presupposta l’intenzione di un soggetto.
Nelle scienze umane l’uomo appare con la sua posizione ambigua di oggetto nei riguardi di un sapere e di soggetto che conosce. Viene data per scontata la soggettività.
La finalità è ciò che fa del comportamento un oggetto, un oggetto provvisto di una propria regolazione. L’uomo, non essendo che un oggetto, serve a un fine. Egli si fonda sulla sua causa finale, la quale è vivere, o più esattamente sopravvivere, cioè rinviare la morte e dominare il rivale.
Ci sono dei risvolti politici in questo, in quanto si riduce la politica al dominio, ad un mezzo per raggiungere un fine. È chiaro che il numero di pensieri impliciti in una tale concezione del mondo è propriamente incalcolabile.
La filosofia che ama la tradizione ma che non è interpretazione della tradizione non si contrappone semplicemente a quello che è stato esposto in queste poche righe, ma è legata alla consapevolezza di un sapere differente che mette in discussione un'unilateralità del pensiero che riduce la complessità del reale.
Ciò implica che ci sono due modi di leggere Aristotele: il primo consiste nel cercare di comprendere ciò che Aristotele pensava, il secondo riguarda l’incorporazione del testo, il quale può diventare vitale e porre problemi politici nel presente. Aristotele è contemporaneo.
Queste considerazioni sono state rese possibili dal guadagno di pensiero che ho ricevuto dai filosofi Jacques Lacan, Ernst Cassirer e Aristotele.