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25 Febbraio 2013, 09.00

I racconti del lunedì

Dieci giorni nella terra delle aquile - otto

di Ezio Gamberini
Ottava Puntata - Mercoledì 19 agosto. Oggi il gruppo si divide: alcuni andranno a visitare le antichissime vestigia elleniche della città di Butrinto, mentre altri resteranno in spiaggia, qui a Saranda...
 
Presso l’antica città, situata nella storica regione dell’Epiro, fondata, si presume, attorno al X secolo avanti Cristo, visiteremo il museo archeologico, con i resti del teatro e dell’Agorà, guidati da un’accompagnatrice a noi riservata che parla un ottimo italiano appreso in un istituto amministrato da suore italiane.

Cristina le consiglia, tra il serio e il faceto, di utilizzare il termine “si presume”, quando deve informare i turisti su origini ed epoche dei reperti sotto i loro occhi. E’ molto più elegante, e soprattutto lascia trasparire un alone di mistero: “Si presume…”, caspita!

Il refrain del “si presume” proseguirà nei giorni successivi, e Cristina riuscirà a contagiare anche Genti, il quale, dopo aver appreso questo nuovo vocabolo italiano, lo utilizzerà in tutte le salse.
Furrrrrbo Genti!
   
A Paolo, fermatosi in spiaggia con il resto del gruppo, sarebbe opportuno legare una corda collegata da un piolo piantato sulla spiaggia, lunga fino a quando si tocca, per poi andare a riprenderlo a mezzogiorno.
Mi viene in mente la sera prima, quando Paolo, prima di sedersi a tavola, ha preso una bottiglietta di acqua, l’ha messa in mano a Ezio e gli ha intimato: “Lavami le mani”.
Forse è ignaro che già suo padre Alberto, da bambino, si divertiva “sceneggiando” la messa facendo fare, lui celebrante, i chierichetti a suo fratello e suo cugino, presenti le anziane zie come fedeli. Anche Paolo fa altrettanto, e come tabernacolo usa il forno a micro-onde...

Riposiamo sui lettini, in spiaggia, ed ogni tanto andiamo al bar.
Piere mi racconta che stanotte non riusciva a dormire, così ha chiesto a Sandra se poteva uscire sul balcone e fare “bau bau”, come Rataplan a Suç: un po’ gli mancava!
Dopo aver mangiato un panino in un fast-food sul lungomare, nel pomeriggio, che si considera “libero”, Grazia ed io passeggiamo per le vie di Saranda, quelle più in collina. Al secondo livello sono sempre meno le attività ed i negozi, al terzo si può già notare un certo degrado, soprattutto con riferimento ai rifiuti ed all’igiene pubblica.

Niente a che vedere col “Paradise”, un ristorante chic, con terrazza sul mare, ove ceneremo a sera.
Già dai coperti si nota la qualità superiore del locale. Ci strafoghiamo di pesce, squisito ed abbondantissimo: insalate di mare e gamberetti in salsa, grigliate e fritti di pesce, orate, branzini, birre, ottimo vino bianco e grappa sopraffina...
Non mi è mai capitato di vedere piatti pieni che tornassero in cucina come stasera, e mi piangeva il cuore. Eravamo davvero sazi! In Italia una cena così costerebbe non meno di 60 euro.
Stasera? Meno di quindici euro!

Giovedì 20 agosto

Alle 8 e 30, terminata l’ultima abbondante colazione, carichiamo le nostre valigie sul pulmino e partiamo per ritornare a Tirana, questa volta senza salire in montagna, ma percorrendo un’altra strada che ci permetterà di visitare Girocastro e Berat, antiche e fortificate città albanesi.

Percorriamo la strada principale per uscire da Saranda, e ad un certo punto Paolo, visibilmente emozionato, si alza e con voce accorata, proprio mentre transitiamo di fronte al locale ove per due o tre volte abbiamo gustato squisiti panini, esclama: “Addio, meraviglioso fast-food!”.

In breve giungiamo a Girocastro e facciamo una sosta per visitarla.
E’ una delle più antiche città albanesi e la più importante dell’Albania meridionale; il suo nome significa Fortezza Argentata, che dalla collina sovrasta la città, e conserva vestigia e reperti che mostrano l’incontro delle culture greca, romana ed etrusca, oltre che albanese. La città vecchia, con stradine e viuzze che evocano certi borghi umbri e toscani, è inclusa tra i Patrimoni dell’umanità (UNESCO).
E’ la città natale di Enver Hoxha, l’ex dittatore albanese, e la casa-museo che ne custodiva la memoria fu fatta saltare in aria nel 1997, quando proprio da questo centro partì la protesta contro il grave dissesto finanziario che sconvolse l’Albania.
Poco dopo il governo dovette rassegnare le dimissioni e ci volle del tempo, prima di ritornare alla normalità.

A pranzo ci fermiamo in un ristorantino sulla strada. Tutti mangiano riso pilaf, Paolo anche un piatto di carne, poi patatine fritte, acqua, birre e caffè; stavolta battiamo il record: due euro e mezzo a testa!
Riprendiamo a macinare chilometri fin quando non raggiungiamo la stupenda città di Berat. Parcheggiamo ai piedi del castello ed iniziamo l’esplorazione.
La fortezza è circondata da possenti mura di cinta interrotte da numerose torri.
Fu costruita nel XIII secolo dai cristiani per difendersi dagli ottomani ed al suo interno c’erano originariamente venti chiese. Quella che abbiamo visitato, di rito ortodosso, contiene bei reperti pittorici e figurativi, è ben conservata ed entrando si percepisce un’atmosfera suggestiva.
 
Dalla sommità del castello don Gianfranco ci mostra la peculiarità di questa città, che è anche chiamata la “Città dalle mille finestre”: la parte vecchia mostra, infatti, le numerosissime finestre che si succedono contigue e sembrano rincorrersi sulla superficie delle case, tutte bianche e con i tetti rossi.

Dopo aver attraversato Durazzo, non manca molto per arrivare a Tirana.
La raggiungiamo in una mezz’ora e per la notte occuperemo le stesse camere di domenica scorsa. La cena è a base di carne, verdure e Tave Theu, la squisita salsa che contiene aglio in abbondanza, poi raggiungiamo la casa di Alessandro, dove ci aspettano per salutarci.

Che accoglienza! Ci sono proprio tutti, sposi, parenti ed amici, a darci il benvenuto.
Finalmente potremo parlare un po’ con Alessandro, in libertà.
Ci accomodiamo in giardino, ove è stata preparata una lunga tavolata con ogni sorta di bevande, dolci, frutta... Il papà di Alessandro è commosso e ribadisce la sua riconoscenza per la nostra amicizia nei confronti della sua famiglia.
Elsa capisce benissimo l’italiano, ma ha un po’ di riluttanza nel parlarlo.
 
Io credo si tratti soltanto di un poco di timidezza: è giovanissima! 
Il tempo vola in allegria, ed anche birra e rakì “prendono il volo” con notevole rapidità: l’amico tedesco di Alessandro, che lo ospitò in Germania per un periodo, che insieme alla moglie ha partecipato alla cerimonia religiosa alla missione, è l’addetto all’apertura dei fusti di birra.
Bisogna cercare di lasciare sempre il bicchiere un po’ pieno, altrimenti si corre il pericolo di vederselo ricolmato nuovamente dai padroni di casa. E’ il momento di andare.
I nostri anfitrioni si sistemano in fila indiana, in direzione dell’uscita di casa; noi facciamo altrettanto, ci saluteremo ad uno ad uno.
Sembra la finale di Coppa del Mondo di calcio, ma stasera l’avvenimento è molto più importante. 

Ciao Alessandro, buona fortuna!

Tratto dal volume “Ai cinquanta ci sono arrivato” – Ed. Liberedizioni
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