In ogni mio viaggio, nella valigia ha sempre trovato posto un libro, come ho già avuto modo di descrivere in racconti precedenti, perché essere certi che alla fine della giornata, per quanto dura e pesante, la lettura di pagine amate mi avrebbe ritemprato, ha sempre rappresentato per me un sollievo indescrivibile.
Soprattutto nelle grandi città, con un movimento caotico di individui di ogni specie, mi procurava una soddisfazione enorme sedermi su una poltrona delle sale d’ingresso, dopo cena, e per un’oretta leggere il libro che mi scortava, e nel frattempo osservare le persone.
Davvero indimenticabile fu quella serata all’Astoria di Budapest, in cui avevo tra le mani
“Il deserto dei Tartari”, di Dino Buzzati, “
accovacciato” su una poltrona della magnifica hall in stile liberty, ornata di stupendi lampadari e ricercatissimi arredamenti e mobili d’epoca, con un bicchiere di Tokaji accanto, mentre osservavo dalle grandi vetrate la neve che scendeva copiosamente: un’atmosfera unica e irripetibile, che in seguito, almeno fino ad ora, non mi è capitato mai più di assaporare!
Ma torniamo alla sera del 16 marzo 1998.
Verso le nove e mezzo, dopo cena, avevo letto una ventina di pagine, seduto su un comodo divano della confortevole hall del Bucuresti.
Quella volta mi ero portato “
Se questo è un uomo”, di Primo Levi, il terribile resoconto che il chimico e scrittore italiano di origine ebrea scrisse nel 1947, raccontando con lucida precisione e crudezza la sua prigionia nel lager di Auschwitz dal febbraio 1944 al gennaio 1945, con le sconvolgenti testimonianze in quei luoghi di morte, le umiliazioni e le offese alla dignità di uomo, prima che gli aguzzini procedessero alla soppressione fisica della maggior parte dei deportati.
Un po’ di trambusto mi fece alzare gli occhi dal libro: da una sala laterale uscirono tre persone, avvolte in soprabiti scuri, che attirarono immediatamente la mia attenzione perché si comportavano in modo strano: continuavano a guardarsi intorno, con circospezione, ma soprattutto tenevano costantemente una mano all’interno del soprabito.
Poi dietro di loro cominciarono a uscire dalla sala dei giovanotti che indossavano una tuta sportiva, senza alcuna scritta.
Compresi immediatamente che si trattava di guardie del corpo, a difesa di chi ancora non lo sapevo, e sotto i soprabiti, i rigonfiamenti celavano sicuramente pistole e mitragliette. M’informai e riuscii ad apprendere, non senza difficoltà, che si trattava della nazionale di calcio di Israele, che due giorni dopo avrebbe affrontato in amichevole la Romania, allo stadio dello Steaua di Bucarest, in preparazione ai mondiali del 1998 in Francia, che la Romania avrebbe disputato in estate dopo averne conquistato l’accesso ai gironi di qualificazione.
Anzi, in verità il girone numero otto delle qualificazioni al campionato mondiale di calcio fu stravinto dalla Romania, che conquistò ventotto punti sui trenta disponibili, e si propose all’attenzione degli esperti come una possibile outsider, una squadra da tenere in assoluta considerazione.
I giocatori di Israele avevano sostenuto un leggero allenamento serale allo stadio che li avrebbe ospitati due giorni dopo, per “
assaggiare il campo”, come si dice in gergo, e terminata la cena, si apprestavano a trascorrere qualche minuto in compagnia, prima di salire nelle camere.
Chiusi il mio libro e leggendo sulla copertina
“Levi”, mi si accese una lampadina.
Se tutti i giocatori della nazionale israeliana avessero apposto la loro firma sul mio libro, sarebbe stato un evento davvero unico, per me!
E singolare fu davvero la scelta del volume, perché se per quel viaggio avessi per caso preferito portare con me una delle biografie di una collana che possiedo, ad esempio
“Hitler” o “
Stalin”, non avrei potuto di certo porre in atto i miei propositi (anzi, avrei dovuto nascondere alla svelta il volume!).
Avvicinai uno degli accompagnatori in borghese, gli mostrai la copertina del libro e gli domandai se potevo chiedere ai giocatori di autografarlo. Sorrise, e mi invitò a raggiungerli. Il primo al quale porsi la penna e il libro, mi disse che voleva “
Ten thousand dollars” (diecimila dollari) per apporre la sua firma! Poi si mise a ridere e firmò allegramente, e quando gli dissi che venivo da Brescia, nella cui squadra giocava il suo capitano, Tal Banin, il primo giocatore israeliano a giocare nel campionato italiano di serie A, capitano della nazionale israeliana che in quell’occasione non era stato convocato proprio perché impegnato con il Brescia, lo comunicò ai suoi compagni che mi si appressarono e mentre firmavano la terza di copertina, chiedevano informazioni sul Brescia.
E io mi divertivo a ripetere ad ognuno che mercoledì il vincitore sarebbe stato Israele! Di quella sera conservo proprio un bel ricordo, oltre alle firme dei giocatori che potete vedere nella fotografia.
Per la cronaca, ai mondiali del 1998 giocati in Francia, la Romania partì benissimo, vincendo il girone e guadagnando l’accesso agli ottavi di finale dopo aver battuto nel primo incontro la Colombia, nella famosa partita in cui tutti i giocatori romeni si verniciarono i capelli di color oro, tranne il portiere, che era pelato.
Poi sconfisse l’Inghilterra, che era una delle favorite per la vittoria finale, per 2 a 1, mentre, già qualificata, pareggiò la terza partita con la Tunisia, 1 a 1. Negli ottavi i romeni incontrarono la Croazia e persero 1 a 0, chiudendo anzitempo il sogno mondiale.
E l’amichevole con Israele? Mercoledì 18 marzo 1998, allo stadio Steaua di Bucarest, la nazionale israeliana sconfisse la Romania per 1 a 0, gol di Mizrahi al 13’ del primo tempo.
E pensare che quella sera io l’avevo detto con scarsa convinzione, quasi per scherzo, ai giocatori di Israele, che due giorni dopo avrebbero vinto l’amichevole con la fortissima Romania!
Ezio Gamberini