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04 Marzo 2013, 08.30

I racconti del lunedì

Dieci giorni nella terra delle aquile - nove

di Ezio Gamberini
Venerdì 21 agosto - Nel nome di Paolo. Il volo che ci riporterà a Verona parte alla 12 e 50, ma poco dopo le dieci raggiungiamo l'aeroporto. Nona e ultima puntata
 
Con Alberto andiamo a prendere un carrello per trasportare i bagagli e stranamente c’è un signore che si fa consegnare la moneta e con un curioso movimento la inserisce nell’apposita sede, prima di consegnarcelo. “A che pro?”, mi chiedo.
Che astuto personaggio: quando riportiamo il carrello e ritiriamo la monetina, scopriamo che il nostro spicciolo albanese è stato sostituito dall’intraprendente “assistente” con una monetina canadese, di uguale peso e diametro, ma dal valore inferiore!

Prima di fare il check-in viene il momento di salutarsi. Non è come sette anni fa, quando Ezio, Pierenzo ed io, nell’accomiatarci da don Gianfranco che ci aveva accompagnato al porto di Durazzo, dopo che se ne fu andato, non fummo capaci di parlare per dieci minuti a causa del groppo che avevamo in gola.
Ma anche stavolta c’è un poco di emozione. Don Gianfranco ha una parola per tutti e per ciascuno, ed anche Genti ha gli occhi lucidi. Caro Genti, che ha l’età di mio figlio maggiore Paolo, e di Marco, figlio maggiore di Pierenzo; è un po’ come se fosse il nostro figliolo. Grazie per averci “sopportato” dieci giorni, ascoltando tutti e a tutti dando retta. Anche a te Genti, buona fortuna!

Saliamo a bordo con mezz’ora di ritardo, e dopo un’altra ventina di minuti il comandante annuncia che “Mancano due passeggeri.
Per motivi di sicurezza bisogna sbarcare i due bagagli”. Poco male, li troveranno e li porteranno a terra! Dopo mezz’ora tutto sembra a posto: “I bagagli sono stati ritrovati e sbarcati. Entro dieci minuti partiamo”.
Trascorrono altri venti minuti ed il comandante annuncia che: “Purtroppo abbiamo un problema tecnico, dobbiamo sbarcarvi!”. Scendiamo tra mille imprecazioni. Non c’è un cane che rivolge alle hostess uno straccio di “buongiorno”, come è solito fare, quando si scende dall’aereo. Anzi, l’istinto sarebbe quello di insultarle (e che colpa ne hanno, povere ragazze?).

Il prossimo volo è alle 17, ci dicono, dal gate 4. Vabbè, aspetteremo, ammazzando il tempo nei più svariati modi (il preferito è comunque ginnastica alle mandibole). Con notevole anticipo ci presentiamo al gate 4, fino a quando sul display compare: “Ore 18.25 – Alitalia – Milano Malpensa”.
“Oh, e quando torniamo a casa?” cominciamo a preoccuparci. Quasi immediatamente siamo indirizzati al Gate 1. Finalmente il nostro volo! Saliamo sull’aereo, e si tratta di un MD80 della Belle Air, uguale al precedente. Anzi, così uguale, che sullo schienale che ho di fronte ritrovo la particolare conformazione del tessuto che avevo notato tre ore prima. E’ lo stesso aereo, che Dio ce la mandi buona. Alle sei partiamo, mi appoggio allo schienale e cerco di rilassarmi.

Rivedo come in un film questi dieci giorni vissuti nella terra delle aquile, i bei momenti, le risate, i volti...
E alcuni più di altri mi restano impressi. Non posso evitare di pensare a quelli che per mantenere dignitosamente la propria famiglia percorrono centinaia di chilometri su strade fangose e piene di buche, trasportando i passeggeri dai villaggi di montagna alla città, o come l’“omino” che ha aperto la chiesa a Stojan: da giovane faceva il fornaio, e con mille sotterfugi riusciva  a recarsi davanti al crocifisso per pregare, sfidando il sistema e la dittatura che vietavano con sopraffazioni e violenze qualsiasi tipo di manifestazione religiosa.

Come dimenticare il racconto che fecero nel primo nostro viaggio in Albania le suore di Kruje, ricordandoci che dopo il 1992, quando arrivarono in questo paese, da più di cinquant’anni non c’era libertà religiosa. Le suore visitarono le famiglie, che sapevano di tradizione cristiana, e quando andarono a trovare un anzianissimo signore, che abitava fuori città, nel momento in cui gli consegnarono un piccolo crocifisso, il vecchietto si mise a piangere ed esclamò: “Bentornato Gesù”. Altro che “omino”, il fornaio di Stojan!
Stiamo parlando di giganti, al cospetto dei quali noi, con grosse autovetture e case bellissime, televisori giganteschi ed impianti stereofonici eccezionali, cucine modernissime ed elettrodomestici avveniristici, dovremmo riflettere un po’. “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”, è l’unica cosa che  mi viene da pensare,  come il protagonista dei “Racconti di un pellegrino russo”, che don Gianfranco, invitato a concelebrare le nostre nozze, ci regalò quando Grazia ed io ci sposammo.

Sbarchiamo a Verona prima delle 19 e 30, e dopo il controllo dei documenti carichiamo i bagagli sul pullman della ditta Almici di Vobarno, che ci aspetta all’uscita. Nuovo, bellissimo, con l’aria condizionata che funziona perfettamente, aaahhh...

Sul bus comincia lo show di Paolo (che bambino fantastico, non si è mai lamentato di nulla, è stato un compagno di viaggio piacevolissimo!). “Paolo, sai che sei stato bravissimo? Potremmo ospitarti a turno, una settimana per famiglia, saresti un ospite ideale!”. Ah si, ce lo contenderemo.
Ezio gli dice che quando sarà il suo turno, provvederà ad acquistare germi di grano, soia, alimenti integrali, prugne, decotti, perchè bisogna stare un po’ a dieta. “Credo che la tua sarà la prima famiglia che salterò”, lo ammutolisce perentorio Paolo. “Facciamo così – prosegue dolcemente Ezio – io da domani telefono tutti i giorni ad Alberto e gli suggerisco gli alimenti dietetici che ti deve procurare per la giornata”. “Penso che staccherò i telefoni!”, gli ribatte inflessibile il piccolo.

“Ezio- mi sussurra a bassa voce all’orecchio, mentre mi sto appisolando – quando arriviamo a casa stasera, perchè non andiamo subito a casa mia per fare un torneo di biliardino?”.
“Paolo, stasera quando arrivo a casa volo subito a letto!” gli rispondo. Allora si rivolge a tutti e chiede “Chi vuole il calendario 2010 con me e Rataplan?”. Più volte si è fatto fotografare con il cagnolino di don Marco, gli era proprio simpatico, anche se un pomeriggio verso le quindici, in missione, si era preoccupato che fosse ben sveglio: “Ezio, andiamo a vedere se Rataplan dorme, perchè poi altrimenti stanotte farà baccano!”. “Paolo, ti scappa la pipì?”, gli chiediamo, quando manca una mezz’oretta per arrivare a casa. “Un po’...”. “Vuoi una bottiglietta vuota di acqua minerale?”. “Noooo!”, risponde stringendosi il viso e volgendo lo sguardo al cielo, ricordando l’exploit sulla barca.

Siamo esausti. Mi giro e vedo Nene che sta abbozzando un sorriso, da solo. “Che hai da ridere?”, gli chiedo. “...mi guardava, col suo bel faccione, mentre era sott’acqua, due begli occhioni sgranati ed imploranti, vestito da cima a fondo, ed indossava pure gli occhiali….”.

Che farei senza questa banda squinternata di amici? Li amo profondamente, contraccambiato a piene mani. Spero, insieme a Grazia, di poter invecchiare in loro compagnia.

Sbuchiamo dalle gallerie e scorgiamo il Santuario della Madonna della Rocca, che dalla sommità della collina “veglia” sul paese: siamo finalmente a casa, verso le nove.

Ecco, la storia di sedici amici che hanno trascorso dieci giorni indimenticabili nella terra delle aquile è giunta al termine.   

“Allora Paolo, che differenza hai notato tra Italia e Albania?” Dopo averci pensato un poco, il piccolo esclama: “I pali della luce!”. Un’affermazione che forse, senza bisogno di aggiungere altro, lascia poco spazio all’evidenza, ma illimitato alla speranza.

Ed è con lo stesso spirito che faccio un augurio ai miei bis-nipoti del futuro: “Fra cento e cento anni, quando le macchine viaggeranno ad un milione di chilometri l’ora e per spostarsi da un continente all’altro basteranno due minuti, che possiate trovare il tempo, una sera ogni tanto, di assaporare un goccio di buon rakì, ngadal-ngadal, cioè piano piano, raccontandovi delle storie attorno ad un tavolo, con i vostri amici del cuore”.


Tratto dal volume “Ai cinquanta ci sono arrivato” – Ed. Liberedizioni
 
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