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26 Maggio 2013, 09.00

L'angolo del filosofo

Il giusto e l'ingiusto

di Alberto Cartella
Parlare della qualità del giusto significa interrogarsi sul senso delle parole e su un concetto di giustizia che non può prescindere da due aspetti: uguaglianza e singolarità. La giustizia è senza esattezza e il dilemma può sciogliersi soltanto nel rapporto con gli altri
 
La traccia dell'evento deve conservare il suo carattere di traccia, con tutta l'ingiustizia che questo comporta. Ma ciò significa anche rendere giustizia alla parola viva, rivolta a un pubblico determinato: a essa ogni scrittura deve rinviare segretamente (Jean-Luc Nancy).
 
Non si tratta del farsi un idea di cosa è giusto e che cosa è ingiusto. Non si sta parlando del giusto dell'esattezza. Come nel caso di molte parole, di molte idee, di molte nozioni, di molti concetti, abbiamo una conoscenza che potremmo chiamare intuitiva, spontanea, della parola “giusto”.
 
Sappiamo bene di che cosa si tratta ma se la esplicitiamo forse ci si rende conto che questa parola, che credevamo di conoscere, è problematica e introduce una difficoltà. Si tratta di interrogarsi insieme sul senso delle parole.
 
Non si sta parlando della giustizia in quanto istituzione ma della giustizia come qualità di ciò che è giusto. Noi abbiamo un'idea del giusto e dell'ingiusto, ma non sappiamo bene come definire esattamente cosa è giusto e cosa è ingiusto.
 
Sentiamo che ciò rinvia a qualcosa di più della legge, a qualcosa di diverso dalla legge. Ma se ci si allontana dalle leggi del Codice ci si trova di fronte a un'altra legge: la legge del più forte. In questo modo la giustizia si confonde con la rissa. La legge del più forte gioca su una contraddizione, perché la legge è impotente di fronte alla forza. Il giusto è qualcosa che si sottrae alla forza.
 
Per difendersi da un'aggressione è giusto difendersi con la forza e se è possibile con una forza pari a quella dell'aggressore. Ma anche se ci si difende fisicamente contro un'aggressione, ciò non ci mette nelle condizioni di giudicare l'altro, di giudicare chi ti aggredisce. La giustizia si domanda perché l'aggressore lo ha fatto. Si tratta del grande passaggio al diritto come funzionamento sociale di una giustizia e il diritto passa soprattutto attraverso la parola.
 
Tutti sappiamo che è giusto dare a ciascuno ciò che gli è dovuto, si tratta di una formula che però non esaurisce la questione. Vi è la coesistenza di due princìpi: uguaglianza e differenza. Uguaglianza perché si parla di ciascuno e di differenza perché quello che dovuto ad Alberto forse non è ciò che è dovuto a Nicola.
 
Uguaglianza e singolarità. La singolarità è ciò che riguarda ciascuno in quanto è unico. Questo vuol dire che il giusto e l'ingiusto si decidono sempre nel rapporto con gli altri. Ma che cosa è dovuto a ciascuno? È importante notare che non riusciremo mai a dire interamente, integralmente, esattamente cosa è dovuto a ciascuno in particolare. La giustizia è inevitabilmente senza esattezza o senza aggiustamento.
 
C'è una sola cosa che è dovuta a ciascuno: si tratta dell'Amore. Amare qualcuno vuol dire esser pronti a fare qualunque cosa per quella persona, a darle tutto perché tutto le è dovuto. Questo non significa darle qualsiasi cosa, magari anche quello che le fa male (per esempio dei dolci a un diabetico).
 
In questo contesto non si tratta di sapere che cosa è giusto, perché non è qualcosa che si possa sapere. Un adulto giusto di fronte a dei bambini non è un adulto che crede di sapere cosa è giusto. Essere giusto non è pretendere di sapere cosa è giusto.
 
Il giusto nel senso della qualità è dare a ciascuno ciò che non si sa neanche di dovergli. Lo si pensa da soli nella discussione insieme agli altri e alle altre, mai nessuno verrà a dircelo, altrimenti non si tratterà più della giustizia ma dell'applicazione meccanica di una legge. La giustizia non può essere mostrata.
 
Ma che cosa è veramente giusto, al tempo stesso per tutti e per ciascuno individualmente? Non è possibile riconoscerlo, perché non è dato in un'anticipazione concettuale di una legge: bisogna cercarlo, inventarlo, trovarlo, ogni volta di nuovo. Non è mai abbastanza giusto. Pensare questo è già cominciare ad essere giusti.
 
Queste considerazioni sono state rese possibili dal guadagno di pensiero che ho ricevuto dal filosofo francese Jean-Luc Nancy.
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