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26 Marzo 2013, 10.00

L'angolo del filosofo

Il gesto come fulcro dell'azione

di Alberto Cartella
Il ragionamento del giovane Alberto Cartella parte dall'ossimoro "risorsa umana" per scandagliare il concetto di lavoro e quello fondamentale ad esso collegato di "gesto". Un concetto che è base dell'azione, ma spesso è trascurato in forza del contenuto
 
La società del XXI secolo è una società in cui ognuno è imprenditore di se stesso. Si tratta di lavorare per obiettivi e di raggiungere dei risultati. Per rendersi conto di ciò basta guardare nelle richieste delle aziende che offrono lavoro.
 
Il dipendente modello è un individuo impegnato, che deve credere nel suo lavoro e trovarvi motivi di felicità: elastico, flessibile, versatile, deve riuscire a trovare esaltante tutto ciò che è alienante.
 
Il problema è di accettare tutta una serie di ostacoli e direttive esterne facendo finta che tutto ciò è stato scelto, mentre in realtà ci sono una serie di barriere e di obiettivi che vengono dall'esterno.
 
Che l’azienda abbia degli obiettivi è giusto e non costituisce un problema, mentre il problema si costituisce quando si fanno passare questi obiettivi come gli obiettivi del lavoratore. Questo comporta un incremento della conflittualità all’interno delle imprese, si è gli uni contro gli altri e non si è insieme agli altri. Si crede di lavorare per sé ma si lavora per l’azienda e ci si colpevolizza se non si corrisponde a degli obbiettivi stabiliti dall’esterno.
 
Varie aziende sostengono di essere alla ricerca di risorse umane, tanto che vi sono anche delle aziende addette alla ricerca di queste risorse. Questa espressione è un ossimoro. Risorsa è ciò che si può utilizzare fino a svuotarlo completamente dall’interno. L’umanità in quanto tale in realtà non è fatta per essere utilizzata e strumentalizzata. Kant diceva che la differenza tra le cose e le persone è che le cose hanno un prezzo mentre le persone hanno una dignità.
 
Nel momento in cui si parla di risorsa umana è come se si dicesse le persone hanno una dignità ma la loro dignità ha un prezzo e quindi le si può utilizzare fino alla fine indipendentemente dalla dignità. Questo vuol dire trattare l’altro unicamente come uno strumento anche se utilizzando l’espressione umano si cerca di far passare la pillola (Michela Marzano).
 
L’uomo è sottratto dalla sua umanità, gli si impone il lavoro come posto di lavoro. Per colmare un’esistenza senza scopo spesso l’uomo deve occuparsi per pochi euro al mese. Un minatore per mangiucchiare qualcosa la sera deve pagare uno scotto molto alto, deve farsi scoppiare i polmoni.
 
Credo che il lavoro sia un dovere, non un delitto, anche se c’è qualcosa che si sottrae a questo. Ciò che si sottrae a questo movimento è il gesto. Esso non si riduce a un contenuto; il riferimento è al gesto in quanto tale. L’etica ha un rapporto di grande importanza con la nostra abitazione del linguaggio. Quando si abita il linguaggio si fanno dei gesti.
 
Ciò implica che non si va oltre, perché si tratta di un punto di crisi della dialettica fra ciò che è dentro e ciò che è oltre. Il gesto è impensabile, è qualcosa di fattivo. Si tratta di pensare l’impensabile. L’azione è la storicità del gesto, mentre il gesto è una smentita dell’azione. Questo vuol dire lasciarsi attraversare da un’oscurità che ci spacca il cervello. L’ombra è parte essenziale di ciò che sta in luce.
 
Non si tratta di capire, di comprendere, di abbracciare con la mente ma di essere abbracciati, di essere visitati dalle cose. Non siamo autori di alcunché, non siamo autori delle cose.
 
Il significato è un sasso in bocca al significante (Lacan). Al di fuori del dover essere si tratta di avere poche idee ma confuse. È il caso di buttare via la falsa idea della separazione fra esperienza e ipotesi, fra pratica e teoria. La pratica è sempre teoria e la teoria è sempre pratica.
 
L’astratta teoria non si trova mai da un lato, mentre si contrappone ad essa, dall’altro lato, il materiale di osservazione isolato in se stesso. Non possiamo mai opporre ai concetti i dati di esperienza, come nudi «fatti» (Ernst Cassirer).
 
L’informazione informa i fatti. L’informazione non informa mai sui fatti anche perché i fatti non accadono mai. Non conta la veridicità di un fatto accaduto ma il convincimento che il messaggero di questo fatto riesce a trasmettere. I fatti non contano (Carmelo Bene).
 
Nell’azione non è tanto il contenuto ciò che importa, ma il gesto. Perché se riduco il gesto al contenuto inizio a dare per scontato quel corpo che ho di fronte nell’incontro, come Abramo che non esita e corre deciso verso l’uccisione di Isacco, perché sa chi è suo figlio, conosce suo figlio e tende a risolvere ciò che non sta all’ovvietà del riconoscimento.
 
Queste considerazioni sono state rese possibili dal guadagno di pensiero che ho ricevuto dai filosofi Michela Marzano, Jacques Lacan, Ernst Cassirer e Carmelo Bene rapportati alla mia esperienza.

 

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