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11 Maggio 2012, 10.30

Pillole di Psicologia

Verso una società resiliente

di Sandra Vincenzi
Un altro concetto che in questo periodo viene in mente è quello di resilienza, ovvero della capacità dell'uomo di affrontare le avversità della vita, superarle e uscirne rinforzato.
 
La resilienza nasce da un modo di porsi che rende capaci di convivere con i fallimenti e le sconfitte, mentre spinge a trovare e valorizzare le personali risorse e potenzialità; non fa fuggire dalla realtà, ma toglie dalla disperazione; non fa inseguire chimere, ma sogni e mete raggiungibili.
Non illude su una visione rosata della vita, ma sa trarre da ogni frammento di vita, anche il più doloroso, insegnamento e positività.
 
A. Canevaro (Bambini che sopravvivono alla guerra , Erikson, 2001) parla della capacità non tanto di resistere alle deformazioni, quanto di capire come possono essere ripristinate le proprie condizioni di conoscenza ampia, scoprendo uno spazio al di là di quello delle invasioni, scoprendo una dimensione che renda possibile la propria struttura.
Anche una comunità può essere resiliente: quando fa leva su fattori identificativi, sulla coesione sociale e sulla comunità di intenti e di valori.
 
Ma come si diventa resilienti?
Vi sono alcuni aspetti che possono aiutare a reagire alle sofferenza della vita.
A livello individuale avere una buona stima di sé con una fiducia nelle proprie capacità. Essere capaci di aver cura della propria persona.
Saper comprendere ciò che si è in grado di affrontare e ciò per cui non si ha la forza.
 
Non dimenticare il proprio passato per apprendere dalle proprie esperienze.
Creare relazioni sociali accettando l'aiuto e il sostegno e imparando a donarlo.
Non ingigantire i problemi e le crisi, avere uno sguardo di speranza. Stabilire mete raggiungibili. Essere aperti al cambiamento e ad imparare cose nuove.
 
La resilienza può essere paragonata ad una farfalla che vuole uscire dal bozzolo (M. Bombardieri, Con ali di farfalla, Paoline Editoriale Libri, 2011), come la nostra vera natura che vuole uscire allo scoperto e volare, staccandosi dalla vicenda personale, da una vicenda anche storica che imbriglia e oppone resistenze .
Lo stretto buco del bozzolo è la condizione affinché i nostri sforzi ci facciano diventare migliori, liberino la nostra vera natura, così da poter volare.
 
Elena Malaguti afferma nel suo libro Educarsi alla resilienza (Erikson, 2005) che la resilienza non riguarda soltanto un uomo solo, ma richiede l'impegno di una comunità.
Non può esistere resilienza senza una rete di relazioni che aiuti.
In questi tempi di crisi, non solo gli individui singoli, ma la famiglia in particolare è chiamata a diventare resiliente, un po' come i nostri nonni mi viene da pensare.
 
Ricordo che quando ero piccola chiedevo a mia nonna di raccontarmi le storie, che per me erano il racconto della sua vita.
E mia nonna tutte le volte mi raccontava di aver perduto il padre piccolissima e la fatica e l'impresa di sua madre a “tirar su” 9 figli senza il consorte, di cui la prima figlia di 12 anni e l'ultimo ancora in gestazione.
Già erano tempi difficili, tempi di guerra, immaginatevi senza più il marito al fianco.
E mia nonna poi scherzando mi diceva: “guarda che non sono storie, sono cose vere”.
 
Oppure penso alle storie di partigiani, anche qui sul nostro territorio, alle famiglie che hanno avuto il nonno partigiano e ad i rischi di vita in cui sono incorsi, quotidianamente, con un coraggio che ai giorni nostri mi chiedo dove sta?
E' una comunità resiliente che ci ha dato i natali, la fatica e lo sforzo fanno parte del nostro DNA e anche il coraggio e quando un germoglio viene da una quercia, sarà una quercia.
 
In famiglia questo momento di crisi ci permetterà di riorientarci su cosa è più importante, sui valori che sono a fondamento del nostro vivere, su una rivisitazione del lavoro che dà dignità all'uomo ed alla società che su quest'ultimo si fonda.
E' solo dopo che ci siamo persi che possiamo trovare: trovare nuovi talenti che erano sopiti, come l'inventiva, la tenacia, la serietà, il coraggio che anche i nostri nonni hanno tirato fuori.
Nella società il superamento della paura e della disperazione che ogni crisi porta con sé apre le porte a cose nuove o rivisitate: all'aiuto reciproco, alla creazione di reti di solidarietà, alla riscoperta di fattori identitari (il tema del federalismo da questo punto di vista è la via per riconoscersi in una storia, in un territorio, in una cultura al fine di valorizzare tutto questo, senza che diventi una questione a discapito di altre storie, territori, culture).
 
Altro importante fattore di crescita è la coesione sociale: non usciremo da questa crisi da soli, ma tutti insieme, siamo insomma tutti sulla stessa barca e tutto ciò propende al fine di creare un sentire, un'empatia che vada oltre  l'accumulo individuale (di occupazioni, di tesori, di patrimoni); che vada oltre le caste, perché lo sforzo oggi, anche all'interno delle singole caste è di pensare con la propria testa e superarle le caste per il bene comune; passare dagli interessi individuali al bene collettivo.
 
Infine, una società che vuol resistere, che vuol diventare resiliente deve avere una comunità di intenti e di valori : è vero che esiste una soggettività nei valori, (più in termini di rispetto, non sicuramente per giustificare un semplicistico “fai quello che vuoi” che non può essere la base di nessuna convivenza stabile e sicura) ma forse è arrivato il momento di riporli alla base della vita comune, superando il soggettivismo e trovando una convergenza che vada al di là di lotte d'ideali, di protagonismi.
 
La comunità d'intenti e di valori ci permette di fare della cosa pubblica una questione che sta a cuore a tutti (e rappresenta la migliore lotta contro l'illegalità ed i soprusi); che crea le condizioni affinché nessuno si approfitti della situazione di crisi per aumentare i suoi guadagni; che ci fa investire quando le risorse vengono a mancare; che ci dice che la società ha bisogno di tutti.
E' questo il coraggio che ci serve e sono questi i nuovi coraggiosi oggi, che scrivono una pagina di storia nuova che verrà raccontata ai nostri nipoti.
 
E la storia siamo proprio noi, con i miliardi di storie individuali che aspettano di essere rivalutate e valorizzate per le fatiche, la tenacia e la forza che le caratterizza.
Alla fine diremo: “io c'ero!”: pensiamo ad un finale che ci possa rendere orgogliosi di esserci stati, e di svegliarci tutte le mattine con uno scopo per iniziare una nuova giornata.
 
 
Dott.ssa Sandra Vincenzi
PSICOLOGA PEDAGOGISTA
e-mail vincenzisandra@gmail.com
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