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27 Novembre 2012, 09.15

Pillole di psicologia

Progresso ed evoluzione

di Sandra Vincenzi
Il progresso non si può imporre: è una direzione che quando viene scelta ci migliora e quando viene subita crea tensioni, rotture, regressioni. La scuola è ancora l'oggetto della nostra riflessione sull'urgenza del cambiamento.
 
Mentre accompagno mia figlia al cancello della scuola e vedo questi bambini vocianti ed allegri varcare l'entrata, mi chiedo: quarant'anni di integrazione scolastica dei bambini disabili, cos'hanno portato alla scuola e al nostro Paese?
Forse qualcuno pensa ancora: “...Ma cosa ci fanno qui?... Non starebbero meglio in scuole per loro?”.
La risposta è NO, e a parlare sono proprio i risultati delle pratiche educative d'integrazione, di cui l'Italia è esempio per tutto il mondo.

Nonostante esistano diverse forme di disabilità, i risultati per gli inseriti ci vengono confermati dalla ricerca del Prof. Renzo Vianello, dell'Università di Padova, su alunni italiani affetti da Sindrome di Down; tale ricerca ha dimostrato che alunni italiani affetti da Sindrome di Down nei test di intelligenza hanno prestazioni scolastiche e adattive superiori rispetto a quelli di altri paesi.
Lo stesso professore afferma che: “... mille possono essere i distinguo e le precisazioni, ma si può dire che il surplus all'età mentale degli alunni con Sindrome di Down italiani, rispetto a quelli di altri paesi, è soprattutto un effetto dell'integrazione!”.
La ricerca ha avuto riconoscimenti di fondatezza dal mondo scientifico internazionale, e in particolare, da quello americano (www.ritardomentale.it).

Tuttavia, oltre agli inseriti, chi ha beneficiato dell'integrazione è prima di tutto la scuola perché l'integrazione scolastica ”... rappresenta un'occasione di crescita per tutti. Dietro alla coraggiosa scelta della scuola italiana c'è una concezione alta tanto dell'istruzione, quanto della persona umana, che trova nell'educazione il momento prioritario del proprio sviluppo e della propria maturazione” (Linee guida per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, MIUR, 4 agosto 2009).

Ma cosa significa una concezione alta dell'istruzione? 
Significa una scuola in grado di rispondere ai bisogni degli allievi in un preciso momento storico, al passo coi tempi, in grado di formare una civiltà in evoluzione.
Il punto è che una concezione alta tanto dell'istruzione quanto della persona umana, è una garanzia per tutti i bambini perché significa riconoscere l'originalità di ciascun bambino e il suo bisogno di apprendimento, che non sono importanti solo per il bambino disabile, ma per tutti i bambini.

Le leggi però non bastano: l'integrazione non si fa solo con la legge, anche se avere una normativa avanzata permette ai genitori degli inseriti, ad esempio, di scegliere la scuola statale che desiderano, perché l'alunno certificato con disabilità ha diritto ad iscriversi ovunque, e se è grave, ha precedenza su tutti, qualunque sia il criterio di priorità stabilito dal Consiglio d'Istituto (in base all'art.3, comma 3, l.-n. 104/92).
E' ovvio che in un quadro di diritti acquisiti i genitori con figli disabili sceglieranno sul territorio le scuole “migliori”, ovvero quelle che realmente mettono in campo risorse, energie, convinzioni e pratiche educative volte all'integrazione.

L'integrazione è possibile solo se viene assunta come progetto di miglioramento della scuola e non solo (del mondo del Terzo settore, del mondo dell'Ente Locale, del lavoro).
Diversamente saremo costretti, per legge, a subirla: a vivere la vicinanza del soggetto disabile come una sorta di obbligo, di impegno forzato e, in qualche caso, di fastidio (Luciano Rondanini, Ragazzi disabili e scuola. Percorsi e nuovi compiti, Maggioli Editore, 2011).
In quest'ottica mi spiego le lamentele rispetto all'inserimento degli allievi disabili nella scuola: una scuola che subisce è una scuola sconfitta e genera rancore, negli insegnanti, nei genitori, nella società civile.

Ai giorni nostri diventa urgente, per qualsiasi scuola, assumere la diversità come scenario “normale” in cui operare, altrimenti le scuole che lo fanno solo a parole, ma non nei fatti, rischiano a dir poco il collasso (visti i tagli che rendono difficile il reperimento di risorse e mettono a dura prova gli insegnanti) e l'inasprirsi di situazioni conflittuali a tutti i livelli, e questa è purtroppo la realtà di numerose situazioni scolastiche oggi: quelle che brillano per capacità di assumersi un progetto di miglioramento sono poche.
E' venuto il momento affinché ogni singolo genitore, sia quello del bambino disabile che quello di qualsiasi altro bambino, vegli sulla qualità dell'istruzione, che è una promessa a livello normativo della nostra scuola italiana: l'istruzione non è un “accontentiamoci di quello che passa il convento”, ma innanzitutto un diritto che muove a precise responsabilità.

Diritti e responsabilità costituiscono le spinte che garantiranno e permetteranno alla scuola di riscoprire una nuova  capacità democratica (i decreti delegati hanno costituito ancora una volta la premessa normativa per l'attuazione di questo: la pratica e l'esercizio del diritto hanno poi a che fare con il desiderio e la voglia di partecipare, non con l'obbligo).
Quando parlo di diritti non intendo solo il diritto di avere una scuola dotata di carta igienica e materiale didattico, nonché di riscaldamento, ma del diritto di delegare lo Stato ad assumersi l'obbligo dell'istruzione facendolo nel modo migliore possibile, e come minimo nel rispetto delle normative avanzate che la stessa scuola si è dotata.
Il modo migliore possibile di fare scuola oggi è quello di assicurare le aspettative elementari che hanno a che fare con il rispetto del bambino; con l'attenzione al suo modo di apprendere (scuola di metodo); ai contenuti da imparare (scuola di contenuti); con una valutazione che non sia mortificazione, emarginazione ed esclusione sociale.

Il privilegio dell'istruzione oggi è vissuto per lo più come obbligo e in certe situazioni anche con molta sofferenza da parte dei bambini, e non è una semplice questione di fatica ad apprendere, ma la reazione a una gestione della scuola come luogo dove, male che vada, almeno si porta a casa uno stipendio (in termini eleganti si parla di ammortizzatore sociale) e alle difficoltà che la nostra società impone ad una scuola frenata da un apparato burocratico pesante, che non garantisce neppure i minimi controlli sulla qualità dell'istruzione offerta. 
 
“Burocrazia ed educazione sono termini inconciliabili” diceva J. Dewey all'inizio del '900 negli Stati Uniti d'America, padre dell'educazione progressiva e dell'attivismo pedagogico, che propone la pratica della collaborazione al posto dell'emulazione, della partecipazione degli alunni alla vita della scuola contro una passività voluta dall'autorità, in un sistema in cui gli insegnanti adeguano i programmi agli interessi ed ai bisogni degli alunni.

Anche in Italia abbiamo bravi insegnanti e scuole che attuano buone pratiche educative, e – guarda caso – si tratta di realtà dove la diversità è accolta e costituisce motivo di miglioramento.
Quando si incontrano queste realtà viene voglia davvero di raccontare le cose belle che succedono, di provare gratitudine per gli uomini e le donne che, prima di noi, nella storia della scuola italiana si sono spesi con passione per dotarci di diritti.
Ora è il momento che questi diritti vengano conosciuti, salvaguardati da tutti e difesi.
Dobbiamo essere portatori di richieste di qualità, e la diversità – non solo in termini di disabilità, ma nel senso ampio di individualità – è premessa alla costruzione di una società più matura.
Siamo noi le radici dell'Italia: ciascuno di noi!
 
Dott.ssa Sandra Vincenzi
PSICOLOGA PEDAGOGISTA
www.vincenzisandra.com
 
 
 
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