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30 Gennaio 2012, 07.33

I racconti del lunedì

Tapascio Bombatus - Dodicesima puntata

di Ezio Gamberini
Prima domenica di giugno, alle cinque della sera. Lo stadio brulica di gente...
 
Le sei corsie in tartan, perfettamente conservato, si stagliano contro il verde sfacciatamente attraente del soffice manto erboso e delle circostanti colline rigogliose di superbi vitigni.
Una quindicina di concorrenti si contendono il prestigiosissimo titolo di campione provinciale. Si accalcano alla partenza…
Prima dello sparo tutto è sospeso, il silenzio impressionante ed il riverbero del calore sulla pista produce strani effetti. “Bang!”. Non è il pistolero nella sfida tra “gringos”, ma lo starter che da il via. Gamberini resta al palo, in sesta-settima posizione e controlla la situazione.
L’andatura aumenta, è difficile stare al passo ed alcuni contendenti mollano e si sganciano. Ora mancano trecento metri, i primi tentano la fuga, ma Gamberini comincia la sua progressione e in curva li affianca.
Tutti ora danno il massimo ed in tre si sopravanzano a turno di qualche centimetro in una spasmodica lotta fino agli ultimi metri quando, chi sa da dove, Gamberini trova le ultime energie per sprintare maestosamente e tagliare il traguardo in prima posizione superando soltanto nell’ultimo mezzo metro gli ultimi due avversari che hanno resistito, allibiti e sgomenti.
Anna Gamberini, dodici anni, campionessa provinciale FIDAL categoria ragazze sui seicento metri corsi in un minuto quarantanove e quattro!
Che sorpresa la mia piccola Anna!
Quando sale sul gradino più alto, la seconda e la terza la raggiungono quasi, pur essendo più in basso! Le consegnano una maglietta con scritto: “FIDAL – CAMPIONE PROVINCIALE”. Che grande onore e che impresa!

“La maglietta però me la devi lasciare indossare, quando andrò a fare qualche allenamento!”, le dico. Basta che nessuno mi chieda, vedendomela addosso: “Oh, campione de che? FIDAL, Federazione Italiana Di Assorbimento Lipidi?”.

Mi sorprende spesso la mia secondogenita. Anche l’anno scorso mi lasciò di sasso quando mi chiese: “Papy, ma se tu avessi tre impiegate, una bravissima, una così così ed una maldestra e dovessi assolutamente licenziarne una, quale licenzieresti?”.
“E tu quale licenzieresti?”, risposi io per prendere tempo… “Beh, la prima, quella bravissima, – mi disse con noncuranza – perché non avrebbe alcun problema a trovare subito un altro lavoro”.

Ormai è ufficiale: a novembre il gruppo che ha corso a New York ripercorrerà le orme di Fidippide. Andremo ad Atene!
Partenza da Maratona ed arrivo al Panathinaikos. Che sensazioni proverò concludendo la maratona in questo tempio? Mi vengono i brividi al solo pensiero!
Intanto la preparazione continua con i soliti ritmi per quanto riguarda giugno, centosettanta chilometri circa, mentre in luglio seguo una tabella preparata da un allenatore federale che prevede quattro sedute settimanali comprendenti un lungo, un progressivo, un medio ed alcune ripetute a quattro al minuto che mi risultano piuttosto indigeste. Chiudo luglio con duecentoventi chilometri percorsi ed agosto con duecento. A fine settembre correrò nuovamente la magnifica maratonina di Gargnano in cui tenterò di abbattere il muro dei cinque minuti al chilometro.
I rituali sono ormai consolidati, così come l’alimentazione della settimana precedente la gara (che bello rimpinzarsi gli ultimi tre giorni, quasi quasi si potrebbe fare una maratona o maratonina a settimana senza sentirsi in colpa). Quest’anno non c’è neppure la fastidiosa pioggerellina dell’anno scorso. Parto con l’amico Attilio e tengo il suo ritmo.
Al decimo chilometro il cronometro segna poco più di quarantacinque minuti, per me una pazzia che infatti pagherò all’undicesimo e dodicesimo chilometro.
Poco a poco mi riprendo e confortato dal pubblico, dall’incommensurabile bellezza del paesaggio lacustre, ma soprattutto, ritengo, dalla costanza profusa nella preparazione, concludo anche quest’anno con lo stesso tempo del vincitore, anzi meglio ancora: un’ora e quarantatre il Tapascio Bombatus; un’ora e quarantaquattro il keniano Rutto (per quest’ultimo i quarantaquattro sono secondi, ma è un dettaglio…..). Sono proprio soddisfatto di aver centrato l’obiettivo di scendere sotto i cinque minuti al chilometro, risultato per me impensabile fino a quindici chili,…… pardon, mesi or sono.

Settembre si chiude con duecentodieci km percorsi. A metà ottobre un lunghissimo di trentaquattro chilometri corso sotto una pioggia torrenziale in tre ore e dieci minuti mi fa ben sperare per la Maratona, con la m maiuscola, che correremo la prima domenica di novembre in terra greca.

E arriva finalmente il giorno tanto atteso.

Siamo in quarantotto venerdì mattina alla Malpensa, pronti per cominciare l’avventura di Atene, dopo aver vissuto nel novembre scorso quella di New York. Acquazzoni imperversano incessanti, da giorni. Due ore e dieci di aereo, un altro mondo. Riponiamo giacche a vento e felpe, maglioni e pantaloni pesanti e restiamo in maglietta. Ad Atene sole splendente e ventisei gradi e così resterà fino al nostro ritorno, mentre su Liguria e Piemonte, Veneto e Lombardia infuriano gli uragani e le prime nevi scendono copiose.
Nel pomeriggio ci è consegnato il “pacco” contenente il pettorale, la maglietta ufficiale della maratona, un distintivo, un portachiavi e la planimetria della corsa che comincerà a preoccuparmi non poco, presentando venti chilometri di salita dal dodicesimo al trentaduesimo chilometro. Inoltre le indicazioni per quando si entrerà nello stadio olimpico, dove è posto il traguardo: bisognerà completare il rettilineo, fare la curva, percorrere metà dell’opposto rettilineo e ritorno per tagliare finalmente il traguardo. Lo stadio olimpico, il Panathinaikos “per tutti gli ateniesi”, quello ricostruito in occasione delle prime olimpiadi moderne nel 1896, capace di sessantanovemila posti a sedere, che emozione!
 
Disfatte le valigie, indossiamo maglietta e pantaloncini ed insieme a Vittorio ci avviamo per l’ultima classica mezz’oretta di corsa lenta. Avremmo voluto fare i bulli sull’Acropoli, ma è un po’ lontana. Stiamo nelle vicinanze.
“Su, respirare bene, dilatare i polmoni!”
In dieci minuti si inalano da due a tre etti di piombo. Su e giù dai marciapiedi, schiva la macchina, aggira il taxi, attraversa le strisce, evita le greche, guarda le greche, sentiti in colpa per aver guardato le greche, scansa il filobus, svicola tra due macchine al semaforo, Atene è caotica all’inverosimile….. la classica mezz’ora si trasforma in un’opportuna quindicina di minuti, tre chilometri, via.
Il sabato mattina, dopo la ricca colazione, saliamo sul pullman che ci conduce all’Acropoli. Visitiamo il Partenone ed il museo archeologico. Mi pare superfluo decantarne la bellezza ed il fascino, oltre alla storia viva degli uomini che l’hanno fatta, che si effonde da quelle “pietre”. Atene si stende ai suoi piedi, enorme, bianca, in ogni direzione e fino a dove l’occhio riesce a vedere.
Nel pomeriggio in pullman ci dirigiamo verso Capo Sounio, a sessanta km da Atene, punta estrema dell’Attica. Da questo promontorio, dove si trovano i resti del tempio dedicato a Poseidone, dio del mare, si domina il mar Egeo. La vista è impagabile, l’occhio ed il cervello vorrebbero fissare i contorni ed imbrigliarli, immortalandoli per poi renderli spendibili nel tempo, ma non ci si riesce. La sera è dedicata al riposo ed allo stretching.
La sveglia domenica  mattina è fissata per le cinque e trenta (ma il mio orologio segna rigorosamente le quattro e trenta, ora italiana) perché la partenza della gara è fissata per le otto e trenta da Maratona che dista da Atene, appunto, quarantadue chilometri.
La colazione è ricca di carboidrati, alle sei e trenta si parte ed alle sette e venti si raggiunge Maratona dove la partenza è fissata davanti allo stadio, non lontano dalla tomba commemorativa dei valorosi ateniesi vincitori sui persiani. 
Ci sono sedici o diciassette gradi, ma fra un po’ il sole comincerà a picchiare abbronzando i nostri volti. Gli iscritti sono circa duemiladuecento.
 
Lo sparo del via è dato con precisione impressionante tra migliaia di ramoscelli d’olivo, segno di pace, impugnati da bambini e ragazze ai lati della strada ed offerti anche ai podisti.
Non mi sembra di spingere più di tanto, ma il cronometro rivela che sto andando troppo forte. Ho corso in maggio la maratona del Custoza in tre ore e cinquantasette minuti e conto di finire anche Atene sotto le quattro ore.
Al decimo chilometro, oltrepassato sotto i cinquanta minuti, un’andatura sopra le mie possibilità, viaggio ancora ai cinque al chilometro e al dodicesimo mi raggiunge il prof. Fabio Marri, direttore del sito internet sul podismo più visitato in Italia, che conosce la mia storia di neo maratoneta quarantenne (corro da soli diciotto mesi) alla sua terza maratona dopo New York e Custoza. Percorro con lui qualche chilometro senza apparente fatica e con buona lena. Sopraggiunge alle spalle e mi riconosce dalle scritte sulla maglietta, che riportano il nome del sito Internet da lui diretto, che moglie meravigliosa ed “italica” mamma hanno ritagliato e pazientemente cucito sulla schiena:
“…….e questo è Gamberini !”, mi sento chiamare.
“Marri! ……… che ‘t v…….. dov’eri?”.
 
Sabato pomeriggio Fabio ha incontrato alcuni del mio gruppo ed ha lasciato loro un biglietto da consegnarmi. Ci saremmo rivisti senz’altro in gara. Alla prima asperità rallento e lo saluto. Fabio prosegue con passo costante: “Tanto poi mi raggiungi”, mi dice. La salita continua e proseguirà fino al trentaduesimo chilometro, tranne qualche brevissimo tratto in piano o in leggerissimo declivio, e per un “peso massimo” come il sottoscritto diventa tutto molto complicato perché per me le salite sono come veleno. Al ventunesimo il cronometro segna un’ora e cinquantacinque minuti, ho ormai abbandonato la speranza di chiudere sotto le quattro ore.
Sto facendo questi pensieri e….. “tac”, inesorabile, al polpaccio destro un crampo. Mi stupisco (il lunghissimo di trentaquattro chilometri effettuato tre settimane or sono terminato in tre ore e dieci, senza alcuna grana, mi aveva confortato) e mi dispero. In effetti nei successivi tredici chilometri percorrerò al passo non meno di cinquanta metri ogni chilometro. Non ho alcun problema di fiato, né di volontà, ma poco dopo essere ripartito, ogni volta, il muscolo della mia gamba diventa di marmo. Nel frattempo mi raggiunge la signora Marri, Daniela, moglie di Fabio, con la quale scambio due parole. La saluto e prosegue con passo sicuro: “Tanto poi mi raggiungi!”, mi fa.
 
Ohè, Marri, siete in coppia? Estremamente improbabile che vi raggiunga, visto come sono messo, comunque, animi gentili, grazie lo stesso.
Dal trentaquattresimo la mia corsa è lenta, ma spedita. I crampi sono cessati. L’entrata allo stadio è emozionante, mi sembra di essere Fidippide in persona che porta la notizia della vittoria. Alcuni amici mi vedono e mi chiamano, mando un bacio sia nel primo rettilineo che nel secondo. Taglio il traguardo in quattro ore e vent’otto minuti, felice per aver terminato, ma deluso per lo scarso risultato cronometrico ottenuto rispetto alla preparazione svolta ed alle previsioni della vigilia.
Che Abebe mi abbia concesso una e una sola volta l’ebbrezza della “vittoria”? Che mi sia stata permessa “semel in saeculo” l’esultanza per aver terminato una maratona sotto le quattro ore, quasi ad accontentare un petulante noioso, dio che noioso, e che le prossime riservino tutte soltanto lacrime e sudore?
Comunque non correrò mai più la Maratona di Maratona. Il ricordo deve restare indelebile, non sarà possibile rientrare una seconda volta nello stadio olimpico e provare le stesse emozioni. In paradiso si va una volta sola.

Domenica sera ci “strafoghiamo” in un locale tipico della Plaka: gamberoni e seppie, polipi e orate, agnello e montone, vini bianchi e rossi in gran quantità ed infine Metaxa. Lunedì effettuiamo una lunga camminata per Atene ed in serata l’agenzia ci offre un ottimo trattenimento in una taverna, sempre della Plaka, con menù e spettacolo tipico greco con musiche e balli.
Quei “fetenti” dei miei “amici” fanno dei cenni alla danzatrice del ventre affinché mi faccia qualche scherzetto, poiché sono il più vicino al palco. La bionda si avvicina e sinuosamente mi sfiora la spalla con una gamba. Per quel che mi riguarda fiato sprecato. Come ci rimangon male gli infingardi! Senza contare che la splendida danzatrice, prima ancora che finisca lo spettacolo, sguscia via da una porticina laterale indossando non più veli succinti, ma borghesissimi jeans, perdendo così tutto il fascino di qualche istante prima. Porta a tracolla una borsa, che contiene il costume, dalla quale fuoriesce la spada con cui si era esibita. Probabilmente ora andrà a godersi qualche momento in famiglia, dopo essersi guadagnata la giornata.
 
Il cantante invece ha dei baffetti appena accennati e gli occhi sono due fessure che scrutano il pubblico. Li fissa uno ad uno, mentre canta “Zorba il greco” e la melodia del Sirtaki affascina ed ammalia gli spettatori. Una giapponese ubriaca fradicia che non smette di ridere e continua a salutare tutti vien portata via a forza ed altri due o tre turisti volgari e maleducati bevono rumorosamente. Il cantante li guarda appena e poi volge lo sguardo altrove, ma io ho colto i suoi pensieri. Il suo portamento è fiero ed altero, i suoi gesti calmi e misurati ed il suo incedere nobile e maestoso. Sembra un guerriero antico, incurante di ciò che gli sta davanti e conscio di quel che rappresenta. Ad un uomo due cose non potranno mai essere sottratte, solo che lo voglia: la dignità e la sua storia.

Martedì, infine, il ritorno a Milano, ancora sconvolta dalle acque. Si indossano nuovamente gli indumenti pesanti e si ricomincia.
Quando ritornerò tra gli amici podisti e i discorsi cadranno inevitabilmente sulle maratone: “Com’è andata a New York ? E a Boston, Torino, Venezia, Carpi?”  io allora potrò rispondere, con aria da bullo:
“Ehi, amico, io ho fatto “la” Maratona. E più non dimandar!”.


Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni –
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