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16 Gennaio 2012, 08.06

I racconti del lunedì

Tapascio Bombatus - undicesima puntata

di Ezio Gamberini
Credo di essere alto due metri, due metri e cinque. Almeno così mi pare. O forse cammino a una spanna da terra...
 
La stima che ho di me stesso è aumentata in termini smisurati e chi è a conoscenza dell’impresa che ho portato a termine a New York, concludendo la mia prima maratona, si complimenta sinceramente e con enorme entusiasmo.
Pago lo sforzo a duro prezzo, però.
Ho già accennato alle urla che seguivano la discesa di ogni scalino a causa dell’atroce dolore ai polpacci e soprattutto ai quadricipiti, nei giorni seguenti la gara. Un’altra fastidiosa conseguenza è rappresentata dai denti che mi dolgono per una settimana a causa dell’ipersensibilità al caldo e al freddo. Chissà quanti minerali ho perso.
Per me ora comincia un nuovo periodo in cui dovrò prevedere allenamenti durante l’inverno, circostanza che mi è del tutto nuova, indipendentemente dal tempo che farà.
Grazia mi regala una magnifica tuta termica ed un pile impermeabile, ma traspirante, che mi accompagneranno tra le intemperie e col freddo pungente.
 
Devo pensare alla prossima maratona che voglio correre fra qualche mese, non prima di essermi cimentato in un’altra maratonina.
Comincio a rovistare tra riviste patinate e non, entro in internet e clicco un po’ qua e un po’ là…….ooppsss….devo aver cliccato qualcosa di strano….cosa ci fa quella gente completamente svestita? Chissà che freddo!
Riclicco sui miei passi, risfoglio, rimugino e decido: in marzo correrò la Maratonina della Pace, a Villa Lagarina, Trento, e in maggio la prima Maratona Internazionale del Custoza, in provincia di Verona.
La scelta è dettata da motivi di vicinanza e dal periodo favorevole (forse anche Bacco ci ha messo lo zampino: per la maratona quota d’iscrizione lire venticinquemila, pacco gara: sei bottiglie di Custoza Doc, tra le altre cose).
Cinque mesi per preparare una maratonina ad un’ottantina di km da casa e sette mesi per la maratona a soli cinquanta km dalla mia abitazione.
 
Sei giorni dopo la maratona di N.Y. corro dieci chilometri in un’ora.
Le gambe sono ancora indolenzite, ma ormai il peggio è passato. Incontro l’amico Saverio, che non correva da tempo, il quale dopo avermi abbracciato mi copre di elogi e mi racconta di quando lui corse New York, dieci anni fa, in tre ore e venti ed un mese dopo Firenze in tre ore e dieci minuti. Per me fantascienza.
Ritengo sia quasi impossibile che mi possa trasformare in “Tapascio Sapiens Velox” (maratoneta sotto le tre ore), ed estremamente improbabile che possa evolvermi in “Tapascio Sapiens” (sotto le tre ore e mezza).
“Tapascio Habilis”, però, sotto le quattro ore, lo voglio diventare!
Dopo tre o quattro allenamenti brevi corro il mio primo diciotto post-gara. Raggiungo, dopo cinque chilometri, la solita piazzetta di Clibbio e vedo una cosa orrenda: una macchia di asfalto fresco e nero occupa lo spazio su cui sorgeva la fontanella, ambito ed agognato ristoro di mille e mille atleti, podisti e ciclisti.
 
Mentre taglio a destra costeggiando il minuscolo cimitero per attraversare il bosco comincio ad urlare come impazzito: “Sindaco, verremo a prenderti, maledetto!” e giù parolacce ed epiteti di vario genere su di lui, la di lui mamma e la di lui signora, parenti ed affini fino al settimo grado, commentando severamente le lunghe protuberanze che si trova fra i capelli ed augurandogli una malattia lunga, lenta e dolorosa che produca soprattutto secchezza delle fauci ed arsura delle labbra così che io possa, gli ultimi giorni, andare a visitarlo per dirgli: “Hai sete poverino? Vai a bere alla fontanella che hai fatto togliere. Se la lasciavi al suo posto non ti sarebbe capitato nulla!”.
Quanta rabbia! Come farò ora a ristorarmi?
 
Percorro otto chilometri furibondo, quattro per arrivare al pilone che segna i nove e ritorno, ed imboccando la strada che riconduce in piazzetta, resto di sasso per quel che vedo: nel lato occidentale della piazza, tra due panchine, fa bella mostra di sé una splendente e lussuosa fontana nuova di fiamma in ferro color verde con un rubinetto d’oro sfavillante che prima, data la posizione defilata, non avevo potuto vedere.
“Sindaco – penso – sindachino mio, perdonami. A te il voto nelle prossime legislature. Che tu possa in seguito essere eletto deputato, senatore, Presidente del Consiglio prima e della Repubblica poi. Che tu possa diventare cittadino americano ed essere eletto Presidente degli Stati Uniti d’America e dopo otto anni, pentito e contrito, convertirti alla vita ecclesiale per diventare Curato, Parroco, Monsignore, Vescovo, Cardinale e Papa.”
Le uscite invernali sono faticose, ma belle ed affascinanti, ricche di poesia e di magia.
 
Un tardo pomeriggio, dopo giorni e giorni di pioggia, ho sfidato l’ennesimo scroscio torrenziale – piuttosto inusuale per la stagione – ed ho imboccato un sentiero che porta in collina; giunto in vetta ho visto un vecchio con la barba bianca che tirando un grosso tronco sbraitava : “Sem, raduna gli animali!…… Cam, la pece!…. Jafet, paglia e fieno…..” Che strani personaggi circolano!
Ciò che stento ancora oggi a credere, tuttavia, è quello che mi capitò un sabato buio e nebbioso. Stavo attraversando il bosco, fiero ed altero novello maratoneta newyorkese, quando all’improvviso si squarciò il cielo ed una voce gridò: “Questo è il mio maratoneta prediletto, seguitelo!”.
Mi girai e non vidi nessuno, quindi la cosa era rivolta a me.
 
“Tieni!”, proseguì, ed improvvisamente sottili vampe di fuoco simili a raggi laser incisero su un tronco questi comandamenti:
1) Io sono la corsa, che ti ha fatto uscire dalla condizione di schiavitù (dalla poltrona). Non avrai altro hobby all’infuori di me.
2) Non pronuncerai invano il nome della corsa, perché il tuo allenatore non ti lascerà impunito.
3) Ricordati della domenica. Sei giorni faticherai, allenandoti duramente, ma la domenica è il giorno della gara.
4) Onora la fatica ed il riposo, perché si prolunghino i tuoi giorni nei quali potrai gareggiare.
5) Non demordere, non abbandonarti a false angustie che possano impedire di continuare la tua corsa.
6) Non tradire la corsa per nessun altro sport al mondo.
7) Non partire prima del via, nel caso non fosse prevista la punzonatura, e non tagliare per stradine e sentieri nascosti, per arrivare prima.
8) Non dire il falso, quando riporti i tuoi tempi, e non fermare il cronometro con  qualche decimo di ritardo, quando prendi i tempi al tuo prossimo.
9) Non desiderare i tempi di chi è più forte di te. I bricconi che stanno sotto le tre ore, o peggio ancora sotto le due e mezza, hanno già la loro consolazione.
10) Non desiderare le scarpe da gara del tuo prossimo, né la bella canotta, né i firmati  pantaloncini, né la magnifica tuta, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.
 
Riuscii a malapena a memorizzare il decalogo, poi un fulmine colpì il tronco e lo incenerì.
Chi non mi crede venga pure a constatare l’assoluta veridicità di quanto racconto: vedrà il ceppo bruciacchiato ed annerito, dove io gli indicherò!
E che dire delle corse sotto la neve? Come non riportare la cronaca di un favoloso martedì grasso? Quel pomeriggio, per festeggiare l'ultimo di carnevale, decidemmo di chiudere l'azienda in anticipo. Alle ore sedici, alè, tutti fuori dalle scatole!……….
Sta "sfalivando"! Indosso tuta, guanti e berretta e via!  Man mano che m'avvicino al bosco e al monte, la neve s'infittisce. Corro a zig-zag con la bocca aperta per divorare i fiocchi più grossi. Alla fine, quattordici chilometri sul filo dei cinque. Non male.
Dopo la doccia ristoratrice, attorno al desco la sorpresa più bella: polenta taragna, per onorare il martedì grasso! Mi produco in un gioco di prestigio degno di Silvan: Grazia mi versa nella fondina una  generosissima porzione di polenta; prima di aver finito di servire se stessa ed i ragazzi la faccio sparire insieme a due bicchieri di superlativo Groppello DOC del Garda d’annata pregiata, degno della pur insuperabile vendemmia 1990. Poi, facendo vedere il piatto vuoto, sbotto risentito:
“Bei tempi in cui il capofamiglia, quando ancora si chiamava così, era servito per primo......”. 
Grazia, impietosita, mi porge un'altra palata di taragna che abbisogna di altri due bicchieri di Groppello per essere assimilata….. Felicità è anche "contarla su" coi propri cari, dopo aver corso sotto la neve, davanti a un piatto di taragna ricoperta di burro fuso che sfrigola e mezzo litro di groppello!
 
In un'altra occasione, invece, per una serie di circostanze concomitanti, a mezzogiorno l'intera mia famiglia pranzò dalla cara mamma……
Dopo aver gustato un piatto di penne al ragù cui mancava solo la parola, crespelle ai carciofi e mascarpone, crocchette di patate fritte, radicchio trevigiano, valeriana gentile, una scheggia di Parmigiano, anzi due, no tre, due bicchieri di un ottimo Verdicchio poco mosso, caffè e grappetta all'anice, dopo tutto questo, dicevo, alle sedici ho indossato il solito abbigliamento invernale e ho preso la strada del bosco.
I chilometri preventivati erano dodici, ma credo di averne fatti quindici perché continuavo a procedere a zig-zag cercando di calpestare il più possibile la neve fresca affondando per buoni venti centimetri. Che sensazione fantastica! Il crik crek prodotto dalle scarpe sulla neve fresca è davvero rilassante e lasciare il segno su candide ed intonse distese bianche è proprio divertente. E poi ho combinato un bello scherzetto al mio amico pastore che tiene le pecore nel bosco. Sul prato innevato che conduce all'ovile ho fatto sette o otto passi, poi mi sono fermato e sono tornato indietro, "in retro", insomma, calpestando esattamente e perfettamente le stesse orme. Diventato sospettosissimo dopo l'ultimo furto di agnelli subito ed attento ad ogni più piccola traccia, Dino domani mattina quando andrà a portare da mangiare alle sue pecore si chiederà se l'intruso che ha calpestato il suo prato sia ad un certo punto volato via.
Né il pastore bergamasco (nel senso di cane), che era legato e faceva una gran cagnara, potrà riferire al pastore (cioè il suo padrone) che uno scemo andava avanti e indietro sul prato senza nessuno scopo apparente. Se viene a saperlo mi uccide. Naturalmente che tutto ciò resti tra noi tre o quattro.
 
Eh, sì. Beato il podista che almeno una volta all'anno può correre sulla neve fresca. C'è chi può e chi non può. Io, grazie al cielo, può!
La fine di marzo si avvicina ed analizzando gli allenamenti rilevo il buon numero di medio-lunghi, ma non lunghissimi, effettuati in questi mesi: praticamente un diciotto chilometri a settimana e parecchi ventidue, alcuni timidi tentativi di ripetute ed un po’ di salita. I chilometri percorsi complessivamente dalla fine di marzo dell’anno scorso, quando ho iniziato, sono poco più di millenovecento ed oltrepasseranno i duemila proprio durante la maratonina trentina. Obiettivo  correrla sotto i cinque minuti al chilometro. So che è ambizioso e forse fuori dalla mia portata, ma io ci proverò.
I preparativi sono gli stessi delle gare precedenti – ormai quasi un rito – e cioè nell’ultima settimana che precede la gara tre allenamenti leggeri, il lunedì, mercoledì e venerdì; levataccia il giorno della gara per gustare crostata, succo, the ecc., stretching salutare,  seduta plenaria liberatoria…… e via!
 
Siamo alcune centinaia, organizzazione perfetta, seria punzonatura e si parte in perfetto orario.
Tengo un ritmo di poco inferiore ai cinque, favorito anche da una leggera discesa, nei primi chilometri. Proseguo spedito e sereno, anche se fa un po’ freddo, e controllando il cronometro mi accorgo di essere in perfetta media.
Fino al diciottesimo chilometro tutto fila liscio, poi comincia la salitella finale e la benzina scarseggia. Cerco di tenere duro, ma inevitabilmente rallento. Stringo i denti e spingo più che posso, ma taglio il traguardo in un’ora, quarantasette minuti e cinquanta secondi, cinque minuti e sei secondi al chilometro. Non ho abbattuto il muro dei cinque, ma ho comunque guadagnato sei minuti rispetto alla maratonina corsa nel settembre scorso.
 
Sento che la preparazione continua in modo perfetto.
A metà aprile, tirando al massimo, corro dieci chilometri in quarantacinque minuti, anche se il giorno dopo per farne diciotto impiego un’ora e quarantacinque minuti. E’ proprio vero: bisogna alternare allenamenti duri ad altri più blandi. Non è possibile essere sempre al top ed il riposo è sacro, anche se ormai sono nella fase di “dipendenza”: se non esco a correre mi sembra d’impazzire e divento irascibile! Allora interviene il buon Abebe che mi rammenta: “Ohè, Tapascio Bombatus, ricorda che tu corri per vivere e non vivi per correre, intesi?”. “Si, Abebe…” e mi rimetto tranquillo.
Nell’ultimo mese prima della mia seconda maratona alterno lunghi, medi, ripetute e qualche salita. L’ultima settimana riposo solo il martedì, oltre al sabato; giovedì faccio addirittura alcune ripetute sui quattrocento abbastanza tirate. Mi sento benissimo. Inutile ribadire l’obiettivo finale: terminare sotto le quattro ore!
Domenica mattina alla prima Maratona Internazionale del Custoza siamo più di mille. In circa duecento correranno i quarantaduemilacentonovantacinque metri, gli altri la maratonina ed una gara più corta. Il sole è splendido ed il cielo limpidissimo, ma fortunatamente il tasso di  umidità è molto basso, un clima ottimale per la corsa.
 
L’organizzazione è quanto di meglio si potesse sperare e la punzonatura avviene con una sigla dei giudici sui pettorali. Si parte!
Vado via tranquillo, certo di essermi preparato a puntino. Non faccio alcuna fatica fino al dodicesimo chilometro quando la strada s’inerpica spaventosamente: una salita spaccagambe che al secondo giro mi ritroverò al trentaduesimo chilometro!
Non voglio pensarci. Ristori fornitissimi, segnalazioni perfette, ville e luoghi incantevoli, vigneti, campagna…. questa maratona è stupenda. Concludo il primo giro in un’ora e cinquanta minuti, tempo molto buono.
Proseguo tranquillo fino al trentaduesimo, quando mi ritrovo davanti il muro, maledettissima salita. Lo percorro praticamente al passo e per riprendere la corsa devo far violenza a me stesso ed insultarmi. Tra l’altro ho alcuni accenni di crampi ai polpacci, che però mi passano quasi subito.
Al ristoro del trentacinquesimo bevo e mangio avidamente qualche biscotto.
Riparto e dopo un paio di chilometri mi sento vuoto e spompato.
Vado al passo qualche metro, ho sete; improvvisamente dietro l’angolo compare un contadino con una canna di gomma in mano dalla quale sgorga un delizioso ed inaspettato zampillo d’acqua. Lo benedico, mi attacco e bevo come un cammello.
Questo  ristoro “fuori programma” inatteso ed imprevisto, ma graditissimo, mi da una carica incredibile. Al quarantesimo mi fermo soltanto qualche secondo per l’ultimo ristoro, guardo il cronometro, ce la posso fare ! Spingo ormai meccanicamente, non so da dove provengano le forze, mentre da pantaloncini e maglietta il sudore che gocciola pare una fontana e mi bagna le gambe come pioggia.
 
Un chilometro, ma quando si arriva? Ce la faccio, ce la faccio…..ecco il quarantaduesimo, solo duecento metri…… vedo lo striscione d’arrivo, trovo la forza di sprintare, alzo gli occhi al cielo, schiaccio il cronometro e crollo esausto sul prato della splendida villa Venier, sede di partenza ed arrivo della gara: tre ore, cinquantasette minuti e trentanove secondi!
 
Sono finalmente diventato Tapascio Habilis!
 
Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni –
 
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