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15 Maggio 2012, 09.00

Filosofia

Un'alternativa al forzoso principio del benessere

di Alberto Cartella
La riflessione improntata dal giovane filosofo saretino questa settimana ruota attorno alla cultura salutista dominante oggigiorno, che nega l'esistenza della pulsione di morte e cancella la via del fallimento
 
La cultura che oggi domina è una cultura salutista e igienista; è la cultura cosiddetta del benessere. Da un certo punto di vista questa cultura del benessere e della salute come ideale positivo nega l’esistenza della pulsione di morte (la forza che ci spinge verso la morte attraverso l’esperienza del dispendio di sé), perché l’esistenza della pulsione di morte frattura l’ideale del benessere, mostrando che l’essere non è orientato dal bene ma è orientato dalla tendenza alla dissipazione (invecchiamento, morte, degradazione).
 
La cultura salutista del benessere occulta la dimensione scabrosa della pulsione di morte che in realtà poi ritorna in modo devastante nelle forme psicopatologiche. Viene meno il compito etico di dare una forma alla forza. Nella misura in cui il soggetto non è più impegnato a dare una forma alla forza acefala e maledetta della pulsione di morte, ecco che questa forza ritorna nel reale.
 
Oggi ciascuno è da solo nell’individuare il confine fra normalità e follia, quel confine che divide la percezione della realtà condivisa da ciò che è immaginario e derealizzante. Foucault ha posto in luce il fatto che la legge rimane estranea al soggetto, mentre la norma viene interiorizzata. La società della norma è difficile da attaccare perché è caratterizzata dalla produzione di confini invisibili, ma efficaci.
 
La legge vieta dall’esterno un certo tipo di comportamento, la norma regola quel comportamento dall’interno. Sono gli individui stessi a conformarsi spontaneamente alla norma, la quale opera attraverso la creazione di confini che passano all’interno di ciascun singolo individuo. Il potere a cui si sta facendo riferimento è biopotere normativo, il quale si basa sulla distinzione fra normale e patologico e si fonda sul concetto di salute (non su quello di moralità o di legalità).
 
Ciò dà la possibilità a tale potere di infiltrarsi in ogni interstizio della vita di ognuno. Infatti, non ci verrebbe mai in mente di opporci a una norma che ha come intento la salvaguardia della salute. Ci viene detto di non fumare per non compromettere la nostra salute, di mangiare determinati cibi piuttosto che altri, di avere cura della nostra salute fisica e mentale, di esercitare una sorveglianza permanente sui nostri comportamenti in nome della suddetta norma interiorizzata.
 
Si assiste così alla scomparsa di luoghi, situazioni, dimensioni protetti dal contagio della norma. Ognuno è portato a sorvegliare costantemente la propria vita per renderla conforme alle esigenze della società. Quindi è ormai dominante la dimensione della prestazione: bisogna essere all’altezza delle prestazioni che ci vengono richieste in ogni angolo.
 
A mio avviso è necessario di fronte a questa dinamica porsi come antagonisti del narcisismo dell’apparizione e porre il soggetto di fronte alla verità del proprio desiderio. Ma per poter far questo bisogna perdersi. La via autentica della formazione di sé è la via del fallimento. Nella celebre parabola evangelica il fratello minore chiede al padre la sua parte di eredità in anticipo per poi dissiparla nel godimento più sfrenato e ottuso.
 
La formazione è erranza, discontinuità, incontro, rottura del familismo. C’è sempre nel cammino di una vita un incontro con la terra, un faccia a faccia con lo spigolo duro del reale e di fronte all’esperienza del fallimento due sono le vie: la via del lavoro sul fallimento o la via della melanconia, in cui la perdita anziché essere simbolizzata viene rifiutata. Perché ci sia incontro con la verità del desiderio è necessario smarrirsi, fallire, perdersi.
 
Chi non si è mai perduto non sa che cosa sia ritrovarsi. Queste considerazioni sono state rese possibili dal guadagno di pensiero che ho ricevuto nelle lezioni con la prof. Wanda Tommasi (docente di Storia della filosofia contemporanea all’Università di Verona) e attraverso l’ascolto di alcune conferenze e la lettura di alcune interviste dello psicoanalista Lacaniano Massimo Recalcati.
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