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23 Dicembre 2013, 09.35

I racconti... del lunedì

Argo, il bambino nero

di Ezio Gamberini
Ci siamo rivisti in occasione di un incontro conviviale dei "coscritti", evento che si ripete un paio di volte l'anno. Attilio mi ha detto: "E' morto il mio bambino nero!".

Attilio è un amico di cui ho già parlato nei miei racconti, quinto dei dieci figli di Zelinda che restò vedova quando la più grande aveva venticinque anni e la più piccola soltanto due.
E’ buono come il pane, avendo ereditato questa caratteristica dalla mamma che rifulge in cielo come una stella, e generoso come pochi: “Mi ha aspettato… ha atteso che tornassi dal lavoro, ed è morto libero, nel prato…” rievocando con un gesto della mano il preciso momento in cui si è accasciato al suolo.
Quest’affermazione ha suscitato in me un’emozione intensa e, ripensandoci, ancora oggi mi viene la pelle d’oca…
 
Il suo Argo aveva otto anni e mezzo, ed era un dobermann di straordinaria bellezza ed eleganza.
Quando mi allenavo per preparare le maratone li ho incontrati innumerevoli volte sul sentiero che costeggia il fiume, e insieme trascorrevano nei boschi due o tre ore ogni giorno.
Se capitava l’occasione lo lasciava libero, così Argo si divertiva a rincorrere gli scoiattoli, e quando incontrava una biscia si disponeva in “ferma”, richiamando con lo sguardo il suo padrone che magari la raccoglieva e la osservava da vicino lasciandola poi libera all'istante, rispettoso di ogni animale e incapace di far del male a qualsiasi essere vivente.
 
In ogni momento Attilio parlava del suo “bambino nero”, al quale era realmente affezionato come se fosse un figlio, e mentre ne decantava i pregi i suoi occhi scintillavano.
In qualche occasione lo portò anche al ristorante: “Con cinque euro gli ho fatto servire un piatto di carne e si è accucciato ai piedi del nostro tavolo, ordinato e mansueto”.
 
Prima di andare a letto aspettava che uscisse nel prato, per i suoi bisogni, poi richiudeva il portone e saliva in camera, lasciando aperte le porte di tutte le stanze. Il mattino, quando si svegliava, gli capitava talvolta di aprire gli occhi e incrociare quelli di Argo che silenziosamente, dopo aver abbandonato il suo giaciglio in cucina, era salito in camera e aveva appoggiato il muso sul cuscino di Attilio, immobile e senza farsi udire, per aspettare paziente il suo risveglio.
 
Quando arrivò il nipotino, Argo divenne la sua guardia del corpo, e si sarebbe fatto annientare pur di difendere il “padroncino” aggiunto.
Attilio lavora in una grande acciaieria e i suoi turni sono impegnativi. Non esistono il giorno e la notte, il sabato e la domenica, Pasqua o Natale, e quel giorno era di turno dalle due del pomeriggio alle dieci di sera.
Tornò verso le dieci e mezzo, come sempre, e senza eccezione, anche in quell’occasione, Argo lo aspettava sulla soglia di casa.
 
“E’ sdraiato e immobile da oggi pomeriggio”, lo avvertì la moglie, rattristata.
Da qualche tempo il dobermann soffriva moltissimo e si era gonfiato in modo preoccupante per l’eccessiva ritenzione di liquidi; ci si aspettava che in qualche giorno tutto sarebbe finito, come aveva ipotizzato il veterinario al quale lo avevano fatto visitare.
Quando Argo sentì Attilio calpestare il ghiaietto all’entrata, si riscosse e convinse il padrone ad accompagnarlo nel prato, come faceva ogni volta che rincasava, terminato il turno di lavoro. Fece qualche passo, poi accennò un’ultima corsetta, si scrollò due o tre volte, rivolse lo sguardo verso Attilio (poiché di sguardo si trattava!), lo fissò negli occhi per l’ultima volta, e infine si accasciò su un fianco nell’erba fresca, ai piedi di un sempreverde.  
 
Adesso Argo è sepolto alle radici di quel piccolo abete.
E quando a Natale l’alberello sarà addobbato con mille luminarie, festoni d’oro e argento, variopinti pacchettini di ogni forma e coloratissime luci a intermittenza, e ai suoi piedi sarà sistemata la capanna con Maria, Giuseppe e il Bambinello, non mostrate stupore se vi ritroverete ad osservare un altro personaggio impegnato ad allietare la scena, proprio al centro, tra il bue e l’asinello, alle spalle di Gesù Bambino: si tratta di uno splendido dobermann di nome Argo, il “bambino nero” che per otto anni e mezzo fu la consolazione e l’orgoglio del mio amico Attilio.
 
Ezio Gamberini

 
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