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27 Gennaio 2014, 08.59

I racconti... del lunedì

Che mia sposa figli il dino Alaricco!

di Ezio Gamberini
Su la mano chi, ritrovandosi bambino negli anni ’60, evento che casualmente ha interessato il sottoscritto, non abbia letto e ascoltato almeno una volta...

... le “Fiabe Sonore” edite dalla Fratelli Fabbri Editori, con annesso disco a 45 giri.
Io le amavo fino alla follia e credo di averle riascoltate migliaia di volte. Anche perché, lo confesso, le ho riversate su cd e quando sono solo, mi capita spesso di riassaporarle, in macchina o al computer. E questo accade in sostanza da quarant’anni…

Soprattutto una mi ha da sempre affascinato e “stregato”: “Aladino e la lampada meravigliosa”, terza uscita della collana che offriva, ogni giovedì da poco prima del Natale dell’anno 1966 fino al 1970, una nuova fiaba la settimana splendidamente illustrata in un fascicolo di grande formato (cm 27 per 35) e pregio, per un totale di circa centottanta episodi.

In seguito sono state ristampate più volte, la prima nel 1977 e, in effetti, ne possiedo alcuni numeri degli anni sessanta col bordo della copertina colore scarlatto e altri degli anni settanta, di colore verde.
Negli anni ’80 altre ristampe, nel 2007 il Corriere della Sera li propose in allegato al quotidiano, mentre nel 2013 l’editore ha proposto una nuova edizione in cd e illustrazioni d’epoca, oltre a lanciare una “app” per iPad e iPhone da cui si possono scaricare alcune delle storiche fiabe.

Su questi fascicoli ho imparato a leggere, infatti, la loro prima uscita è coincisa con il mio “debutto” in prima elementare; sfogliavo gli albi e osservavo estasiato le splendide illustrazioni, poi appoggiavo il 45 giri sul giradischi e iniziava la magia:

A mille ce n’è
Nel mio cuore di fiabe da narrar.
Venite con me,
nel mio mondo fatato per sognar…
Non serve l’ombrello,
il cappottino rosso o la cartella bella
per venire con me…
Basta un po’ di fantasia e di bontà.


La splendida voce narrante (il Cantafiabe) era quella di Silverio Pisu (Roma 1937 – Milano 2004), personaggio poliedrico e ricco di doti straordinarie: attore, cantante, scrittore, sceneggiatore, ma soprattutto doppiatore, che con la sua voce calda, profonda e rassicurante ci accompagnava nel mondo fatato delle fiabe.

Ai personaggi prestavano la voce valenti attori, i cui nomi oggi sono in pratica sconosciuti, ma che al tempo erano sulla breccia: Ugo Bologna, Isa di Marzio, Sante Calogero, Pupo de Luca, mentre gli indimenticabili motivetti introduttivi e di coda erano cantati dal Quartetto Radar, il cui stile era chiaramente ispirato al più famoso Quartetto Cetra.

Terminata l’introduzione musicale, iniziava l’avventura:

- Aladino! Aladino, buono a nulla! Vieni a casa!
- Sto giocando con i miei amici. Lasciami in pace, papà!


E la mia mente cominciava a galoppare! Ascoltavo il disco seguendo attentamente il testo sul fascicolo, e non perdevo una virgola. Io credo di conoscerla a memoria, questa fiaba: e ricordo perfettamente le varie modalità espressive dei diversi personaggi, l’intonazione grave o scanzonata, gli accenti e le sfumature.
Quando muore il papà di Aladino, un potentissimo mago africano, dopo aver letto nei libri magici che soltanto il ragazzo può entrare in possesso della Lampada Meravigliosa, si spaccia per suo zio e si reca dalla madre, per chiederle di poterlo educare:

- Ho aspettato trent’anni per riabbracciare mio fratello! Poveretto! Adesso che sono qui mi occuperò dell’educazione di Aladino, cognata mia.
- Grazie, buon signore. Ma tu non assomigli molto al mio defunto marito. Come mai?
- Sarà stata… è vero… la lontananza… Aladino, vieni con me. Comincerò a educarti.
- Veramente, io preferirei andare a giocare.
- Sciocchezze! Vieni con me, col tuo zietto, e vedrai come ti divertirai.


Io immaginavo il mago che si sfregava le mani, mentre scandiva queste parole, e mi stupivo che sul fascicolo non ci fosse scritto: “…  evveddraiccommettiddivverrttirraiii!”.

Poi arriva il momento in cui Aladino scopre che il personaggio con il quale raggiunge il limitare di una grande foresta, proprio sotto un’altissima montagna, non è suo zio:

- Fermiamoci qui. Io mi metterò a sedere e mi riposerò, mentre tu andrai a raccogliere un bel po’ di legna per accendere un fuoco. Ti mostrerò cose meravigliose.
- Cose di che genere? Giochi?
- Ben altro, Aladino ! Vedrai! Ben altro!
- Non capisco: di che cosa si tratta?


A questo punto la voce del mago si trasforma, cambia intonazione e diviene minacciosa e sprezzante:

- Basta con tutte queste domande! Vai subito a raccogliere la legna! Io non sono tuo zio. Sono un potentissimo mago africano, e se non farai quello che ti ho detto, ti tramuterò in un pezzo di legno. Hai capito?

Ricordo di aver provato un’angoscia opprimente, pensando di poter essere tramutato da qualcuno in un pezzo di legno!
Acceso il fuoco, il mago pronuncia una formula magica:

-… Tlin padà bè, kala mala du… fuoco ardente scompari tu! Tlin padà bè, kala mala du… masso pesante compari tu!

Gli amici non lo sanno, ma è la stessa formula che ho utilizzato qualche tempo fa, in occasione della cena che abbiamo preparato per centocinquanta persone al centro sociale. A me toccava lo “stracotto”, piatto la cui fama, molto modestamente, ha ormai varcato il confine della mia abitazione.
Fatte tagliare le verdure alle “aiutanti” e impadellati i venti chili di carne equina sminuzzata a tocchetti nell’enorme pignatta posata sul fornello acceso, nel momento in cui ero certo che nessuno mi osservasse, mi sono concentrato e allargando le braccia ho pronunciato la formula magica:
Tlin padà bè kala mala du… miscuglio indecente scompari tu! Tlin padà bè, kala mala du… stracotto fumante compari tu!” e, potenza delle arti occulte, dopo sette o otto ore di cottura lo stracotto era pronto! Servimmo in tavola un piatto mitico, di cui ancora oggi i commensali ne decantano i pregi, chiedendo a gran voce il bis.
Però nessuno sa che il merito non è mio, ma della formula magica del potentissimo stregone africano!

Spostato il masso, comparso magicamente al posto del fuoco ardente, Aladino scende nel sotterraneo.
Potrà impossessarsi delle pietre preziose che scorgerà, in cambio dovrà consegnare al mago una vecchia lampada, che troverà appesa “là in fondo”.  Recupera subito la lampada, ma non vede alcuna cassa piena di tesori.

- Che belle pietruzze colorate pendono dagli alberi! Ne coglierò qualcuna. 
Aladino non sapeva di essere proprio in mezzo al famoso giardino incantato. Un giardino dove sugli alberi non crescono mele o arance, ma rubini, zaffiri, brillanti… Aladino non aveva mai visto delle pietre preziose… ciò nonostante, si riempì le tasche di quegli strani pezzetti di vetro colorato, che in realtà erano pietre di gran valore.
 

Era certo che il mago lo avesse ingannato, e risalì per dirglielo. Il mago voleva la lampada, ma lui intendeva consegnarla soltanto dopo essere uscito:

- Dammi la lampada…
- No, te la darò quando sarò uscito…


 Il tira e molla proseguì a lungo, fino a quando il mago perse la pazienza:

- E allora rimani pure in fondo a questo sotterraneo.

(E anche in questo caso mi stupivo, udita l’esclamazione, che “sotterraneo” non fosse scritto con sette o otto doppie: “Sottterrrannneooo”).

A questo punto Aladino comincia a piangere e sfregandosi gli occhi, compare uno schiavo grande come un carro. E’ lo schiavo dell’Anello, che il mago gli aveva fatto infilare al dito prima di scendere nel sotterraneo:

- Sono lo schiavo dell’anello… Comanda mio signore.
- Voglio… voglio tornare a casa!
- Sarà fatto, mio signore.


Non appena tornato a casa, Aladino consegna alla mamma le pietruzze colorate e la vecchia lampada:

- Dammela. La luciderò per bene e andrò a venderla. Così potremo mangiare almeno per quest’oggi.

La mamma prese a strofinare con forza la lampada, ma l’aveva appena toccata che… comparve un altro schiavo, grande come una torre:

- Sono il genio della lampada. Nulla mi è impossibile. Comanda!

La madre, sbalordita, chiese da mangiare e all’istante comparve “una tavola d’argento… dodici piatti d’oro… squisite bevande… qualche ciliegina… e un arrosto di un intero bue”.

Io gli avrei chiesto una mega-pista per macchinine. Da ragazzino pensavo che, una volta sposato, nella mia casa avrei costruito una stanza in più riservata a un lunghissimo circuito con curve paraboliche e sopraelevate per gareggiare ogni sera con i bolidi in miniatura. In ogni modo alcuni sogni li ho comunque esauditi acquistando, da adulto, un magnifico Meccano, che da bambino non ho mai avuto, e una trottola Wizzzer della Mattel, che da ragazzo utilizzai fino allo sfinimento e che naturalmente distrussi, fatta arrivare appositamente dal Canada per venti dollari (già che siamo in argomento: se qualcuno mi può fornire notizie sul Minicinex a colori della Harbert, un proiettore cinematografico a manovella che utilizzava delle pellicole super 8 a ciclo continuo, con il quale passavo giornate intere a divertirmi, gli sarò grato) e senza dimenticare le mie biglie di vetro (sono quasi mille!) che conservo in un grande vaso di cristallo appoggiato sul mobile in sala.

Trascorsero molti anni e la famiglia di Aladino viveva nella ricchezza, finché un giorno, Budur, la figlia del Sultano, non transitò vicino alla loro abitazione. Se ne innamorò e chiese alla madre di recarsi dal Sultano per chiederla in sposa, offrendogli in dono una ciotola colma delle pietruzze che aveva trovato nel giardino incantato. Il Sultano pensava di trovarsi di fronte ad una povera donna bisognosa di qualche favore:

- Dimmi che cosa desideri, buona donna. Nella mia benevolenza ti esaudirò…
- Mio nobile Sultano, mio figlio Aladino chiede in moglie la principessa tua figlia e ti manda questo regalo. Abbi la compiacenza di sollevare il lino…
- Di che cosa si tratta? Cavallette fritte? Nidi di rondine? Vediamo. Oh! Brillanti, rubini… zaffiri. E’ un tesoro enorme. Che mia figlia sposi il ricco Aladino!

Ed io, sin da bambino, mi chiedevo cosa sarebbe successo se il Sultano avesse detto:

- Che mia sposa figli il dino Alaricco!
oppure:
- Che mia foglia spesi il dico Alarinco!

Aladino chiamò il genio della lampada e si fece costruire un palazzo intero, d’oro massiccio. Le nozze furono splendide e la bella Budur col suo sposo, che fu presto conosciuto in tutta la Cina come uomo saggio e generoso, vissero felici nella reggia dorata.
Ma la felicità durò poco, perché il mago cattivo, che era riuscito a localizzare il palazzo di Aladino, mentre questi era lontano per una certa guerra, con uno stratagemma (“Chi vuole cambiare lampade vecchie con lampade nuove?”) si fece consegnare da Budur, che ne ignorava il valore,  la vecchia lampada.
Non appena ne fu in possesso, la strofinò e ordinò al genio, disorientato di fronte al nuovo padrone, di trasportare il palazzo e tutti i suoi abitanti in Africa.

Quando il povero Aladino ritornò dalla guerra non trovò più il palazzo, né la sua sposa. Strofinò l’anello fatato, ma lo schiavo non aveva il potere di riportare in Cina la principessa; al massimo poteva condurlo in Africa, e così fu.
Avvicinatosi alle finestre del palazzo, chiamò Budur e le consegnò un sonnifero che la notte stessa fu immerso nel vino del mago, il quale, dopo averne bevuto, si addormentò all’istante. Aladino s’impossessò della lampada e la strofinò. Il genio apparve all’istante, ben contento di ritrovare l’antico padrone:

- Trasporta il mago nell’isola più deserta che trovi. In quanto a noi, portaci di nuovo in Cina!

A questo punto è necessario spiegare che la Fratelli Fabbri Editori evidentemente non se l’è sentita di restare fedele al testo originale, ma ha cercato di “ammorbidirlo”: in realtà, nelle “Mille e una Notte”, in questa circostanza si legge che Aladino, al mago africano, fece tagliare la testa. Insomma, cercò di risolvere il problema alla radice!

Tornati a casa, il Sultano ordinò che “la città fosse parata a festa e che i festeggiamenti in onore di Aladino e di Budur durassero un mese”.

E, per finire in bellezza, confesso di conservare intatta quella sensazione piacevolissima che mi procurava il motivetto finale, che preludeva a nuove storie, e altre avventure:

Finisce così
questa favola breve e se ne va…
Il disco fa click
e, vedrete, fra un po’ si fermerà.
Ma aspettate, e un altro ne avrete.
“C’era una volta…” il Cantafiabe dirà
e un’altra favola comincerà!

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