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25 Marzo 2013, 09.00

I racconti del lunedì

Da Pisa a Lucca passando per Emmaus

di Ezio Gamberini
«Prima che il gallo canti, tu mi avrai tradito tre volte...», rimbomba incessantemente un cupo ammonimento nel mio cervello, ed io per tre volte ho detto no a chi mi chiedeva degli spiccioli per mangiare...
 
Può capitare, dopo aver superato il mezzo secolo vita, di riflettere sul perché si è speso, per lavoro o per diletto, più tempo per conoscere città come New York e Spalato, Vienna e Lisbona, Washington e Zagabria, Londra e Bucarest, Atene e Tirana, Lubiana e Edimburgo, Ginevra, Budapest, Monaco, Sarajevo, Chicago… senza aver mai visitato almeno un giorno intero, ad esempio, Cremona o Pavia, Ferrara o Mantova oppure Modena, tanto per restare qui al nord.
 
Perciò con Grazia, da alcuni anni, abbiamo deciso di puntare a queste mete.
Si tratta solitamente di “mordi e fuggi”, quando la destinazione è piuttosto vicina; in gennaio, invece, di solito il secondo fine settimana, da quattro o cinque anni scegliamo città più lontane, con partenza sabato mattina e ritorno domenica sera.
Così abbiamo visitato Urbino e Gubbio, poi Firenze, Trieste, Siena, e quest’anno, Pisa e Lucca.
 
A metà gennaio partiamo alle sei di sabato mattina e prima delle dieci parcheggiamo al limite della Zona a Traffico Limitato, a trecento metri da Piazza dei Miracoli, e ci apprestiamo a visitare la Torre di Pisa.
Che meraviglia! Il colpo d’occhio che fornisce la Piazza che contiene il Battistero, il Duomo ed il campanile, conosciuto in tutto il mondo come la “Torre pendente”, è straordinario: siamo al cospetto di una rarità che tutto il mondo ci invidia.
Acquistiamo il biglietto cumulativo, valido per la visita ai musei e al Camposanto monumentale (sulla torre non ci posso salire, soffro di vertigini!), e ci muoviamo tra centinaia di turisti che posano con le braccia tese, per le foto che li ritrarranno in surreale bozzetto intenti a sostenere la torre che pare cadere su di loro.
 
Comincia a piovere, apriamo gli ombrelli, e ad un tratto si avvicina una ragazza riccioluta e mingherlina, che indossa un giubbetto leggero, quasi diafana: “C’hai qualche spicciolo per mangiare?”.
Ho sempre il mio euro in tasca, pronto per essere trasferito, ma non so perché, questa volta è più veloce ad uscirmi dalla bocca un secco “No!”, che francamente non mi sarei aspettato, da me stesso.
Mi accorgo di essere stato brusco, la cerco con lo sguardo, ma è sparita! Non ci penso più, proseguiamo nell’esplorazione di autentiche ricchezze artistiche ed architettoniche che forse, noi italiani, neppure riusciamo ad apprezzare in tutta la loro magnificenza.
 
Nel pomeriggio prendiamo possesso della nostra camera, vicinissima alla torre, e riprendiamo la visita della città, questa volta in centro, verso l’Arno.
Che belle piazze, che magnifiche chiese, e il Lungarno è davvero strepitoso nel suo insieme di viuzze e larghi viali, pieni di negozi d’arte e bancarelle stipate di merci e libri rari e preziosi!
 
Si sta facendo buio, ci accingiamo a percorrere il tragitto inverso, in direzione della torre e del nostro hotel; mentre imbocchiamo una stradina laterale mi sento chiedere: “C’hai qualche spicciolo per mangiare?”.
“No!”, è il sibilo perentorio che erompe dalle mie labbra all’improvviso, quasi senza rendermene conto.
“Vuoi vedere… Grazia, ma è ancora lei, è la ragazza di stamattina!”, dico trafelato alla mia consorte, mentre cerco di vedere dove s’è cacciata, senza però riuscire a capirlo.
 
La cosa mi lascia attonito e sconcertato. “Ma cosa vuole quella da me?”, mi chiedo sbigottito.
Torniamo in hotel e poi usciamo per la cena, consumata in un locale gradevolissimo, ricavato in una chiesa sconsacrata che ha però mantenuto l’architettura originale, con arcate e capitelli che fanno bella mostra di sé. In Toscana si mangia (e si beve!) davvero bene.
Dopo une breve passeggiata in una Pisa ormai semi-deserta, saliamo in camera: domattina ci recheremo a Lucca.
 
Terminata la colazione, sontuosa ed abbondantissima, in mezz’ora raggiungiamo Lucca, parcheggiamo alle porte della città e a piedi ci avviciniamo al centro, dove nel pomeriggio visiteremo la casa natale di Giacomo Puccini.
La chiesa di S.Michele è enorme, circondata da una grande piazza;  una moltitudine di persone sta accedendo al luogo sacro per partecipare alla messa, che sarà celebrata dall’Arcivescovo in occasione della giornata Missionaria.
 
“Entriamo?” chiedo a Grazia, mentre scorgo una ragazza che mi scruta con i suoi occhi scuri, a una quindicina di metri; allunga il passo e mi raggiunge in pochi secondi, si toglie il cappuccio che la ripara a malapena dalla pioggia ed esclama: “C’hai qualche spicciolo per mangiare?”.
“No!”, rispondo meccanicamente, ma all’improvviso sono colto da una sensazione sgradevole, simile ad una frustata, e mi accorgo che qualcosa di incomprensibile è avvenuto.
“No, non è possibile… Ma è ancora lei, la ragazza di ieri!”. Sono confuso, mi guardo attorno sbalordito, ma non c’è più.
Anche Grazia si è accorta che quella ragazza mi ha scorto da lontano, mi ha fissato, e si è avvicinata proprio per parlare con me!
 
Sono senza parole, ma entriamo in chiesa ed assistiamo a una delle più belle funzioni cui abbiamo mai partecipato.
Le navate sono gremite all’inverosimile, svariate nazionalità sono rappresentate da fedeli multiformi e colorati, bambini piccoli che vanno e vengono, adolescenti in gruppo che ogni tanto mettono mano ai loro cellulari, nascosti dietro le enormi colonne delle navate laterali (e che male fanno… intanto sono lì!), celebranti che leggono le letture in diverse lingue, mentre io, enormemente angosciato per tutto il tempo della funzione, mi chiedo cosa sia successo.
 
“Prima che il gallo canti, tu mi avrai tradito tre volte…”, rimbomba incessantemente un cupo ammonimento nel mio cervello, ed io per tre volte ho detto no a chi mi chiedeva degli spiccioli per mangiare.
“Grazia – le sussurro con un fil di voce – quando esco da messa io vado a cercarla per tutta Lucca e le do i soldi per andare a mangiare…”.
Sono tormentato dall’ansia, e più volte glielo faccio presente: “Quella cercava me, e come i discepoli di Emmaus, io non l’ho riconosciuta. Che dirò al Padreterno quando mi chiederà ‘Avevo fame e non mi avete dato da mangiare?’.
No, io dopo la cerco per l’intera città, fino a quando non l’ho trovata!”.
 
Terminata la messa, usciamo dalla navata centrale.
Lei è lì, sul portone, e chiede una moneta ai fedeli che frettolosamente tornano alle proprie abitazioni. Noi ci spostiamo a lato e restiamo in attesa.
Nessuno si degna di allungarle neppure lo spicciolo più misero.
Passano cinque minuti e la chiesa si è ormai svuotata.
Sta per andarsene, ma si volta verso di noi, le faccio un cenno e si avvicina: “Come ti chiami?”.
“Monica!”.
“Ieri a Pisa, oggi a Lucca…”.
Sorride: “Eh… io oggi sono qua e domani là!”.
 
Le allungo dieci euro. “Vai a mangiarti una pastasciutta. Mi raccomando, una pastasciutta, eh!” con allusione al divieto di utilizzarli per altri scopi.
“Eh, certo che li uso per mangiare, faccio fatica a fare anche soltanto quello…”.
“E quando sarai in paradiso, digli che avevi fame, e io ti ho dato da mangiare!”, le sussurro a bassa voce.
“Ma lui lo sa!” mi risponde immediatamente la ragazza con un sorriso, e poi ci salutiamo.
 
Certo, si potrebbe semplicemente concludere che quella era una “sballata” che risiede a metà strada tra Pisa e  Lucca, un giorno qua e un giorno là, occupata a chiedere l’elemosina per soddisfare le sue voglie.
Ma chiedete agli innamorati se l’oggetto del loro amore è semplicemente un’accozzaglia di cellule specializzate, o se per un papà e una mamma i figli sono soltanto qualche decina di chilogrammi di ossa, muscoli e tendini, oppure se il sole che sorge ogni mattina è esclusivamente frutto di un elementare processo fisico nucleare per cui quattro nuclei di idrogeno si fondono in un nucleo di elio, o se l’azzurro del cielo che talvolta paralizza i nostri sensi per la sua incomparabile bellezza, è un semplice colore.
 
Ecco, mi piace pensare che se questo gesto consentirà l’abbuono anche di un solo giorno sui due o tre miliardi di secoli che dovremo scontare in Purgatorio, prima di accedere al Paradiso, allora tutta la nostra vita non sarà vissuta invano.
 
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