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28 Maggio 2012, 11.00

Pillole di psicologia

Non voglio sapere!

di Laura
Hanno il terrore delle brutte notizie e fanno di tutto per ignorarle: si tratta di un meccanismo di difesa dall'ansia controproducente che non paga mai...
Nell’era della comunicazione globale, in cui è quasi impossibile non venire a conoscenza di ciò che accade nel mondo così come nel palazzo di fronte, alcuni di noi scelgono, più o meno consapevolmente, un modo di vivere improntato sul costante tentativo di non entrare in contatto con ciò che costituisce un problema, un conflitto, un dispiacere.
Via da tutto quello che può produrre ansia! Alcuni applicano questo schema solo alla vita sociale, a ciò che arriva dall’esterno.
Ad esempio non ascoltano notiziari di TV, radio e giornali, evitando così le notizie relative alla cronaca nera, alle guerre nel mondo, alle crisi economiche, oppure evitano di frequentare amici “portatori di problemi”.
Come a dire: “Se non so che ci sono certe brutte cose, allora non esistono”.
 
 Queste persone, nella vita privata, si rivelano inesorabilmente vittime dell’ansia molto più  della media, soprattutto di fronte a questioni di salute, che evocano in loro una forte angoscia di morte e di malattia.
Di conseguenza un simile modus operandi può essere applicato anche alla vita privata, persino da individui notevolmente coinvolti nel sociale e calati nell’attualità, ma che in casa preferiscono non sapere se il partner ha problemi di lavoro oppure attraversa un brutto momento, se se la coppia è in crisi, se il figlio ha dei problemi a scuola o frequenta compagnie poco raccomandabili.
E se un familiare ha problemi di salute, fanno il possibile per esserne poco coinvolti. Non sono loro, ad esempio, a parlare con i medici.
Più in generale, non si informano per primi: se nessuno gli dice niente, per loro è meglio così, sulla base dell’equivalenza: “Meno cose negative so, meglio sto”.
 
C’è poi chi vive lo schema a tutto campo, per nascondere il globale senso di precarietà e di ansia che li domina.
Si tratta di un meccanismo psichico di difesa: la negazione.
“Nego un problema, quindi non esiste”.
Può originare da due situazioni opposte: in una la persona da piccola ha vissuto eventi traumatici dal forte valore annientante e tenta perciò di difendersi da tutto ciò che in qualche modo richiama alla memoria quei fatti; nell’altra il soggetto è cresciuto in un ambiente fin troppo rassicurante, dove i genitori si occupavano di tutto e ancora se ne occupano, e non ha sviluppato gli strumenti psichici per affrontare le difficoltà della vita adulta.
Attenzione però: negare i problemi spesso equivale a farli crescere ed esplodere in modo ben più drammatico di quello temuto.
Imparare ad affrontarli è la via migliore per proteggersene, anche se all’inizio ciò risulta faticoso.           
 
Non voler conoscere un problema significa non acquisire gli strumenti mentali per risolverlo.
Inoltre la negazione delega qualcun altro a occuparsene, come quando, da bambini, erano i grandi a occuparsi delle “cose importanti”.
È uno schema infantile, che va superato. 
Non serve sapere i dettagli morbosi e raccapriccianti di una brutta notizia. Accostati ai problemi che arrivano dal mondo esterno con gradualità.
Ti basta sapere che cosa accade, tenerti informato. Poi deciderai tu che cosa approfondire.  
Per quanto si neghi un problema, è quasi impossibile non sentirne l’eco, che spesso fa più paura del problema stesso, poiché lo ingigantisce. Non lasciare che diventi un paralizzante fantasma. 
 
Ricorda che la tua presenza è preziosa, che il tuo contributo attivo può essere risolutivo anche per gli altri.
Prova a ritrovare il gusto di essere protagonista della tua vita e di collaborare con chi ti sta accanto.
La sensazione di essere adulti può essere molto appagante.

Fonte: www.riza.it

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