Secondo le statistiche, una famiglia italiana media butta nell'immondizia 500 euro di cibo ogni anno e non sempre questo è dovuto ad un atteggiamento superficiale nei confronti dei generi di prima necessità. Molto più spesso, infatti, gli sprechi e gli scarti si accumulano per colpa del criterio con cui facciamo la spesa.
Secondo la Fao gli stati membri dell'Unione Europera, ogni anno scartano e gettano via qualcosa come 90 milioni di tonnellate di cibo, cioè 115 chilogrammi a testa. La soluzione giusta, oltre a limitare la situazione, fa anche risparmiare denaro.
Prima di tutto, a monte, bisogna imparare a fare la lista della spesa: trovarsi al supermercato senza un elenco preciso di ciò che ci serve, porta a comperare un po' di tutto, per gola o curiosità e, puntualmente, i cibi che acquistiamo d'impulso, sono anche quelli che difficilmente consumiamo e che, più facilmente, finiscono nel cestino.
Una spesa ponderata, ragionata e proporzionata al fabbisogno reale della famiglia, non solo permette di ridurre al minimo gli sprechi, ma anche di risparmiare, soprattutto se si percorre anche la seconda soluzione: imparare a fare degli avanzi i protagonisti dei piatti.
Le bucce della mela si possono reinventare con i biscotti, quelle della patata diventano chips croccanti, i gambi dei broccoli o di altri ortaggi si possono frullare e diventare una crema e gli scarti del pesce possono essere utilizzati per il brodo.
I dolci come il panettone e la colomba, poi, possono facilmente trasformarsi in un altro dessert e risotti o frittate ci danno una mano, dato che gli ingredienti che vi si possono inserire sono i più vari, ma sempre a patto che ci si mettano fantasia e buona volontà.
In Valle Trompia e la Valle Sabbia un'offerta gastronomica di cooperazione ed inclusione sociale: dal 5 ottobre al 12 dicembre un ricco calendario con 10 cene a ritmo slow
Ho acquistato questo Franciacorta nella cantina vicino casa. Mi ha incuriosito il produttore, che non conoscevo e, lo riconosco, un prezzo davvero invitante
A Venezia la “fritoa” era considerata quasi un dolce nazionale ai tempi della Serenissima. A produrre le fritole erano i “fritoleri”, al tempo stesso produttori e venditori di frittelle