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13 Ottobre 2013, 09.00

L'angolo del filosofo

Dove caso e necessità s'incontrano in un'immagine

di Alberto Cartella
Una riflessione del giovane filosofo saretino sulla fragilità costitutiva della nostra soggettività e sullo sguardo come qualcosa che assorbe di più di ciò che si ha coscienza di vedere
 
Professore: e tu che fai?
Alunno: cambio posto professore.
Professore: perché?
Alunno: Così.
Professore: così per caso?
Alunno: sì beh per caso.
Professore: o per necessità?
Alunno: mah non so, ma mi posso sedere?
Professore: in piedi! Cos’è la necessità? C’è qualcuno che sa rispondere?
Alunno: io volevo stare più vicino alla lavagna, è per questo che mi sono spostato.
Professore: tu che dici?
Alunna: voleva stare più vicino.
Professore: a chi?
Alunna: alla lavagna.
Professore: allora andate tutti e due insieme.
Alunno: alla lavagna?
Professore: no, a casa, subito, arrivederci.
(dialogo tratto dal film di Nanni Moretti "Bianca")
 
La volontà che parte gioca quando diciamo che qualcosa è accaduto per caso o per necessità? Il dettaglio accidentale non è voluto. Riguardo a ciò che travalica la volontà come un dettaglio accidentale che mi colpisce ma che non so definire con un contenuto, qual è la posizione che si assume? Si tratta di qualcosa di eccessivo.
 
Non è più una modalità espressiva, ma è qualcosa di straordinario, di incantevole, che mette in gioco l’immaginale, dove caso e necessità si incontrano in un’immagine. Lo sguardo assorbe di più di ciò che si ha coscienza di vedere e questo ‘di più’ non è indifferente nell'agire.
 
Il metalogo sopra citato potrebbe sembrare a livello immediato che si concluda con una punizione per i due ragazzi ai quali in realtà interessava stare vicini. Questo sentire il richiamo all’esser vicini non emerge tanto dal metalogo sopra citato, perché in esso manca proprio l'elemento dello sguardo, legato al visivo, in cui il punto che separa la finzione dalla verità è un punto di indecidibilità, un punto legato alla vita, la quale non si lascia incasellare da separazioni dialettiche. Si tratta di un punto di indeterminazione che sfugge alla volontà di distinguere; l'immagine ritorna al di là del richiamo alla mente di qualcosa che riguarda la memoria a lungo termine o la memoria a breve termine (le quali sono studiate dalla psicologia).
 
Qui si sta parlando dell'immagine che ritorna di qualcosa che ho visto ma che non è mai stato. Si tratta del dejà vùIl professore del metalogo vuole comprendere qualcosa che non implica la rinuncia alla volontà di comprensione, ma che non è riducibile a questa volontà.
 
Si tratta del pathos, del lato patetico dello sguardo, del cedimento alla propria emozione. Tentare di evitare questo cedimento riguarda una rincorsa alla potenza, all'essere potenti, capaci di ricostruire il passato e di immaginare il futuro per essere sempre pronti ad ogni sollecitazione.
 
Qui invece si sta facendo riferimento all’essere spiazzati, alla fragilità costitutiva della nostra soggettività, alla caduta che la costituisce, alla materialità che non si risolve nei nostri programmi per il futuro. Si tratta della corporeità, carica delle sue potenzialità e delle sue trasformazioni fattive. Fattivo vuol dire che non rimanda a qualcosa che può essere ma al nostro essere in presenza.
 
L'incontro con altre soggettività sta proprio in quel punto lì, nel punto dell’essere insieme che non si risolve nelle nostre proiezioni riguardanti il futuro. Caso e necessità a livello fattivo non ci sono mai. Essere in presenza non vuol dire che il presente ci sia dato, ma si tratta di ciò che rimane nella sua inizialità, la quale è caratterizzata da una ripetizione e non è riducibile a un contenuto di riconoscimento.
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