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Giuliana Franchini
Psicologa, psicoterapeuta infantile, autrice di libri sulla relazione educativa e favole per aiutare i bambini a crescere bene
Giuseppe Maiolo
Psicoanalista e docente di Educazione alla sessualità all''Università di Bolzano. Si occupa di formazione dei genitori e di disagio giovanile
Officina del Benessere, Puegnago, tel. 0365.651827
 
 




03 Settembre 2013, 09.00

Genitori & Figli

Le parolacce

di Giuseppe Maiolo
Un problema frequente che i genitori segnalano sono le parolacce. I bambini le imparano a scuola, giocando al parco con gli amichetti, in spiaggia, al campo sportivo...
 
Talvolta anche a casa. Sentendole dire dai genitori o dai fratelli più grandi. Anche la televisione, lo sappiamo bene, ci può mettere del suo.

Intorno ai 3-4 anni, quando il bambino comincia a frequentare ambienti diversi rispetto a quelli ristretti dell'ambito familiare e il suo vocabolario si arricchisce di nuovi vocaboli, le parolacce possono diventare per lui termini di uso comune che ripete senza coglierne veramente il significato.
All'inizio si tratta di mera ripetizione o emulazione del linguaggio dei più grandi. Il bambino infatti, è incuriosito da tutti i nuovi vocaboli e li usa nei contesti più disparati senza esserne minimamente imbarazzato.
E’ invece la reazione degli altri (genitori, parenti, insegnanti…) a fargli scoprire presto il "potere" che certe parole esercitano e l'effetto che sono in grado di provocare.
Le reazioni che l'uso del turpiloquio provoca in chi gli sta intorno (imbarazzo, rabbia, nervosismo, risate…) aumentano nel bambino la curiosità e l'attrazione verso le parolacce di cui scopre a poco a poco il significato e che impara a utilizzare come arma per attaccare o difendersi dai compagni o dai fratelli e come strumento per mettere in imbarazzo gli adulti.
Ma cosa fare?
Forse è possibile tenere presente alcuni semplici regole.
Non reprimiamo con forza il linguaggio scurrile infantile perché non serve per limitarlo. Mostriamoci indifferenti se ci rendiamo conto che il piccolo sta cercando di attirare la nostra attenzione.
Non scandalizziamoci, tanto meno ridiamo divertiti. È controproducente. Manteniamo invece la calma e spieghiamo che alcune parole non è bene usarle.
Non cerchiamo di sapere a tutti i costi da chi il piccolo ha imparato le parolacce, perché non sta lì il problema, anche perché oggi le parolacce si sentono dappertutto.

Stabiliamo invece la regola che le parolacce non sono consentite in casa, e nessuno (ma proprio nessuno) le utilizza!
Suggeriamo con fermezza e soprattutto con l’esempio, che si possono usare espressioni, tipo: "Accidenti", "Caspita", "Perbacco".
Se il bambino si abitua a controllarsi in casa, gli sarà più facile farlo anche in altri ambienti.

 
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