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03 Giugno 2013, 08.30

Pensieri&Parole

Diavolo della Tasmania

di Itu
Da parecchi anni ormai sono stati smantellati parterre e zoo in Italia, io una privilegiata che visitandoli ha potuto riflettere sulle sorti degli animali in mostra.
 
I procedimenti mentali dei bambini sono così diversi da quelli adulti che strada facendo ancora mi meraviglio.

Da bambina i miei genitori mi portavano, molto raramente, al parterre cittadino proprio quando estenuati dalle richieste di tre ugole stridenti diventavano insopportabili.
Mia madre si innervosiva di camminare tra vialetti di sassi polverosi, poi forse memore della sua infanzia ricca di contatti animaleschi non sapeva come giustificare questa mostra triste di animali esotici mortificati.

Mio padre si estraniava ancor più del solito, tutto ciò che è animalesco lo ha sempre impaurito, neanche le gabbie lo rassicuravano.

Io partivo con i miei pensieri ma mi lasciavo distogliere volentieri dagli odori, dai versi, dalle improvvise corse di animali spelacchiati all’interno di arene di cemento e di finte collinette rocciose per capre tibetane.
Uno degli animali che ritrovavo quasi sempre tra gabbie di zoo era il diavolo della Tasmania, leggevo il cartello di presentazione davanti alla sua galera nuova e aspettavo che uscisse dalla sua tana.
 
Per un bambino già la parola diavolo richiama il peggio che possa accadere.
Il puzzo di annuncio della sua presenza non sapeva di zolfo, piuttosto di una paura straordinaria, acuita dal rimando dei fumi di traffico cittadino e di suoni terrificanti di clacson, il nero fuligginoso del pelo smentiva le sue capacità di difesa immunitaria ma l’occhio era lo specchio di un’anima incazz…che chiedeva ai miei di bambina di ritrovare la sua tana natia.
 
Ecco, un bambino questo si lascia attraversare nella sua mente insana di infanzia.
Così dimenticavo di guardagli i denti che esibiva sfoderati su gengive bianche di paura, minacce senza senso per chi è disattivato al suo destino.

Poi il parterre è stato smantellato con rigoroso disegno di legge, l’ultimo un vecchio leone che fu accusato di aver ferito gravemente il suo guardiano che lo accudiva: la follia non ha gabbie di contenimento e nessuna riconoscenza.

Eppure io sopravvissuta a quegli animali che non ho mai visto nel loro ambiente naturale riuscivo a sentire tutta la loro nostalgia, a capire la follia e lo sgomento di adattamenti impossibili, lo sentivo nel loro odore, nei loro versi sgolati, nel loro perdere dignità sotto sguardi umani.

Mi domando se le nuove generazioni possano altrettanto avere occasione di riconoscere i tradimenti della vita in aspettative come ho visto per quegli animali a cui mi sentivo empaticamente vicina, e al diavolo della Tasmania in particolare, orfano della sua rabbia mordace.
 
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