Il significato delle cose conduce gli uomini ad agire sulle medesime. Se noi "crediamo" o "diamo" o "siamo" un significato di ogni cosa che "crediamo", "facciamo" o "siamo", quel significato conduce le nostre azioni, tutte
Noi siamo mortali e tutte le nostre azioni, il nostro agire, è da mortali e crediamo da mortali e facciamo da mortali e siamo infine mortali.
Il significato che alle cose diamo (in questo specifico caso mortali) caratterizza la cosa, il mortale, e il suo significato.
Più ampio è il significato e più azioni cadranno inscritte in quel significato.
Questo Aristotele voleva dire con l'ente in quanto ente nel libro IV della metafisica,questa la scienza prima: voleva esprimere appunto la superiore potenza della filosofia che non guarda alle cose particolari in quanto determinate (=ente in quanto determinato, il positivo), non è come le altre discipline che si occupano del particolare (= parte) ma indaga intorno al significato più o ampio delle medesime: gli idealisti lo chiamano questo significato più ampio "l'apparire trascendentale", ciò che oltre non si può, perché quell'oltre è appunto sempre un apparire a cui trascendono tutti gli oltre che vogliono esserlo ma al dunque non riescono ad esserglielo, e come potrebbero il solo farglielo?
Per gli idealisti l'oltre che più oltre non si può è appunto l'apparire trascendentale o lo Spirito Assoluto o il pensiero; per i Greci il fainestai o il manifestarsi, il manifesto.
Se noi non credessimo che quella che si pone davanti a noi è una finestra e non credessimo che è possibile l'aprirla, allora quella finestra non la apriremmo, non faremmo nulla per aprirla.
È il significato di finestra e il significato di aprire la finestra che ci conducono per mano nell'azione sulla "cosa" finestra, è credere di poterlo infine fare che ci dà il coraggio e ci aziona su quella "cosa": se quella cosa non la conoscessimo, lei è il suo significato, infine non agiremmo, non muoveremmo un dito...
ma appunto tra "finestra" e "cosa" quale ha il significato più ampio?
Allora fin dai Greci, i filosofi più grandi fra i pensatori, l'indagine si è concentrata da subito sul significato di "cosa" o "ente" appunto, lasciando che delle finestre se ne occupassero e i fabbri e i falegnami.
Ma non ingannatevi, non è che vi sia qualche vantaggio per l'una o per l'altra: è del particolare la scienza, è dell'universale la filosofia diceva già Parmenide.
Ma il particolare ha le sue caratteristiche, la sua definizione appunto, e dalla sua definizione noi agiamo sul particolare.
E dell'universale la sua, e dalla sua definizione noi agiamo sull'universale.
Per parte o particolare si intende quella parte del tutto, l'universale.
Allora i Greci da subito hanno inteso che tra parte e tutto c'è relazione.
È in questo senso che si capisce da subito che il significato più ampio, il tutto, o ente, sottende tutte le parti, e sondato quello, queste sono definite nel suo essere (=definizione).
Perché allora un filosofo come Severino può con semplice tranquillità dire che la Tecnica ora è la massima potenza?
Proprio partendo dai fondamentali sopra.
Se il tutto o l'universale (epistemico della tradizione, trascendentale dell'idealismo) tramonta per lasciare il posto al mondo frantumato, le parti appunto isolate da quel tutto che infine le parti non riesce più a dominare, al suo posto, al posto dell'antico tutto che le dominava (anche e non solo il Dio teologico e razionale), si affaccia una nuova entità o ente appunto, perché al dunque non è possibile che vi siano solo le parti senza un tutto proprio per definizione.
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