Come molte di queste storie non sappiamo quanto sia vera. Ma non importa: un buon racconto può comunicare qualche verità anche se è una finzione.
Il protagonista è un tal Matteo Tarcisio Frombolieri, detto “il Pinna”. Giovane discendente della illustre stirpe dei Frombolieri, che si era contraddistinta nei secoli per aver coltivato gli studi classici, il Pinna si era trovato addosso questo nomignolo a motivo di una sciocca circostanza. Un giorno in aula, essendo nella condizione di dover chiedere in prestito una biro, disse al suo vicino di banco a bassa voce: “Non è che avresti una pinna da prestarmi?”. Così il suo battesimo del ridicolo fu celebrato con successo: da allora sarebbe stato per tutti i suoi compagni “il Pinna”.
Matteo era uno studente diligente e brillava anche per arguzia ed intelligenza. Tuttavia, al di là del suo nomignolo, non si atteggiava con la spocchia del classico secchione dedito a giudicare chi riteneva inferiori intellettualmente a sé.
Anzi, il Pinna era sempre pronto a condividere i suoi appunti, a far copiare i compiti ai suoi compagni e a offrire loro spiegazioni suppletive in caso di emergenza.
Non riteneva motivo di vergogna il suo soprannome. Come ogni studente sa bene, ai nomignoli amichevoli ci si può presto abituare. Alle prepotenze degli insegnanti, invece, o ci si rassegna, come fanno i più, o si trova il coraggio di farvi fronte in qualche modo. Ebbene, la storia del Pinna è un esempio di questo intelligente e scaltro coraggio.
Un mattino durante una verifica di storia, l’insegnante sorprese il Pinna a passare un bigliettino sottobanco ad un suo compagno. La reazione della docente fu scontata e quanto mai immediata: verifiche ritirate ad entrambi con ramanzina e scenata incorporata. La professoressa, che divenne paonazza dalla rabbia, apostrofò il Pinna con queste parole: “Da te Frombolieri, proprio non me lo sarei mai aspettata. Come hai pensato di imbrogliare me e la classe in questo modo? Sono proprio delusa e amareggiata!”.
Il Pinna, il cui animo era calmo e tranquillo come quello di una parete di granito che nemmeno la bora può smuovere, evitò l’imbarazzo del momento standosene zitto. Poi, quando l’animosità della professoressa fu placata, si avvicinò alla cattedra e le disse: “Mi spiace professoressa. Il mio intento non era quello di imbrogliare o farla fessa di fronte alla classe. Intendevo solo aiutare un compagno in difficoltà. E se lei me lo permette, vorrei provare a dimostrarle perché ritengo corretta l’arte del copiare”.
Di primo acchito la professoressa sorrise ironicamente, immaginando che fosse un’ulteriore presa per i fondelli. Poi, però, conoscendo la buona reputazione scolastica del Frombolieri e constatando la sua serietà, decise di accogliere la sua richiesta. Con questa clausola: Matteo avrebbe dovuto riparare al suo errore, sostenendo le sue ragioni di fronte alla classe intera. Perciò, da buona educatrice, gli assegnò il compito di tenere una lezione sul valore della copiatura.
Giunse il giorno della lezione. Tutta la classe, professoressa compresa, era in uno stato di trepida attesa di questo straordinario evento. Il Pinna si era preparato a dovere. Per l’occasione aveva fatto ricerca, creato una bella presentazione multimediale e scritto un discorso articolato. In esso aveva raccolto e organizzato riferimenti alla filosofia, alla letteratura, alla storia dell’arte, alla meccanica, ecc...
Prese parola e disse:
“Non intendo leggervi quanto ho preparato. Preferisco parlare a braccio.
Sappiate che copiare significa imitare. Secondo l’etimologia latina, “copia” significa “abbondanza”, “ricchezza”, cioè qualcosa che può essere messo a disposizione di tutti perché ce n’è per tutti. Nessuno ha il diritto di tenersi l’abbondanza per sé. In questo senso, far copiare significa condividere ciò di cui si abbonda, dandolo a chi ne ha di meno e lo desidera.
Inoltre, se ci pensiamo bene, tutto imparammo dal copiare: il sorriso, l’alfabeto, ogni arte. A scuola, invece, copiare assume il solo significato di imbrogliare. Perciò chi copia a scuola non può imparare: si sente solo giudicato come disonesto. E colui che permette di copiare non è un compagno solidale verso un confratello in difficoltà, ma uno sciocco che promuove una truffa intellettuale e si beffa dei suoi insegnanti e della scuola.
Ora, io potrei anche esporre tutto ciò che ho preparato per questa lezione, per convincervi che ogni apprendimento si produce sempre per imitazione. Ma non vorrei annoiarvi. È sufficiente rendersi conto che il discorso da me preparato e scritto l’ho copiato a mia volta, costruendolo grazie a ciò che ho letto in alcuni libri di testo scolastici, enciclopedie e siti internet.
Cos’è, infatti, la scrittura se non l’arte di copiare continuamente ad arte le poco più di venti lettere dell’alfabeto, in modo che acquisiscano un senso per chi le legge? E la lettura non è forse la decodifica intelligente di lettere copiate su carta e riconosciute come dotate di senso dalla mente per mezzo della vista?
Nel mio discorso ho accennato agli infanti che imparano la lingua imitando i suoni dei loro genitori; ai copisti medievali, i quali copiando i manoscritti antichi, inventarono lo stile calligrafico che oggi chiamiamo Times New Roman; all’arte di riscrivere la Torah da parte degli scribi ebrei, facendo attenzione ad ogni singola lettera; alle varie forme di apprendistato nell’artigianato e nella scultura; alla danza, allo sport e agli industriali odierni che vanno ad osservare le aziende dei loro competitors; fino a giungere agli insegnanti che spiegano ciò che c’è scritto su un testo a disposizione di tutti.
Tutto questo e molto altro ancora riconduce ad un’unica e sola conclusione: la cultura, nelle sue varie espressioni, si produce e riproduce attraverso il riconoscimento, l’organizzazione e la condivisione di ciò che può essere imitato, cioè copiato ad arte.
Se poi questa faccenda del copiare è ritenuta un imbroglio dalla scuola, forse sarebbe meglio riflettere se non sia il caso di ripensare al senso di questo ambiente d’apprendimento, rendendolo più collaborativo e meno competitivo, più arricchente e meno giudicante. In modo da evitare che gli studenti brillanti subiscano l’unanime condanna di esser considerati delle carogne dai loro compagni più svogliati, solo perché sono stati integerrimi nell’aver resistito all’orribile tentazione di far loro copiare i compiti o a quella di passare un bigliettino durante una verifica. Grazie per la vostra attenzione”.
Nessuno sa che cosa sia accaduto in seguito a questa lezione.
Secondo alcuni la classe, insieme con l’insegnante, dopo qualche istante di silenzio, applaudì il Pinna, con una standing ovation incorporata, chiedendo di avere il testo del suo discorso e la sua presentazione multimediale.
Altri dicono che l’insegnante si sentì presa di mira personalmente e, da quel momento, ce l’ebbe a morte con l’alunno Frombolieri.
Altri ancora, di fronte alla performance del Pinna, decisero di smettere di usare quel nomignolo, in segno di profondo rispetto.
Ciò nonostante, a chi semplicemente si tenne la libertà di ascoltarlo, in nome dell’amicizia e della riconoscenza verso un loro brillante compagno, sorse nell’animo questo simpatico pensiero: Il Pinna è stato capace di far comprendere a tutti, professoressa inclusa, cos’è la nobile arte del copiare, senza, nel contempo, essere in grado di imitare il suono vocale che serve per dire il più noto sinonimo di “biro”. Questo sì che è geniale!
Pseudosofos