di Fonte: Edmondo Bertussi, "Bresciaoggi", 24 dicembre 2012
La storia coraggiosa di Angela "Ninì" Gerardini, la partigiana che ha da poco raggiunto il traguardo dei 90 anni. Nacque nella piccola frazione di Memmo a Collio, che poi divenne luogo di vedetta per i movimenti dei nazifascisti
Si chiama Angela Gerardini, ma a Collio la conoscono tutti come Ninì la partigiana; e qualche giorno fa tutto il paese dell’alta Valtrompia l'ha festeggiata per i suoi 90 anni. Se fosse per lei non racconterebbe nulla della sua straordinaria e coraggiosa giovinezza.
Seduta accanto alla stufa nel tinello della casa in via Castiglione parla dei figli e i grandi occhi si velano: la mordono ancora il dolore e la malinconia per la scomparsa, a giugno, della figlia Dosolina, sempre con lei per 59 anni.
Le sono rimasti Ugo, Cleto, Tiziana, Nadia, i sei nipoti e i tre pronipoti con un quarto in arrivo. Sorride solo ricordando che per i suoi, il papà Pietro e la mamma Stefania Tabladini, lei fu un Gesù bambino al femminile, prima di 11 fratelli, cinque viventi.
Il figlio Ugo stende sul tavolo diplomi e riconoscimenti. Uno solo è incorniciato perché così glielo hanno consegnato. Il più prezioso è il più sgualcito e manca pure di un angolo: è il suo Brevetto di partigiano numero 031859, datato 25 Aprile 1945 e firmato dal generale Raffaele Cadorna e da Ferruccio Parri, Luigi Longo, Sandro Pertini ed Enrico Mattei.
«Combatté per la libertà nella guerra partigiana che arse sui monti - sta scritto – nei piani, nelle città d’Italia contro i nemici dell’umanità e della patria». Ma lei ne mostra un altro di cui va orgogliosa: il «Certificate of merit» firmato dal generale Alexander al soldato «SirioTabladini » sposato nel ’48: mentre lei rischiava la vita con le Fiamme verdi della brigata Margheriti comandata da «Pierino» Gerola (il suo braccio destro era Isacco, fratello di Ninì), lui, artigliere sotto le armi dal ’39, risaliva l’Italia combattendo a Montecassino con gli alleati ne l37esimo Reggimento di Montagna inglese.
È nata su alla cascina Pès, sotto Memmo, che divenne un luogo di vedetta sui movimenti nazifascisti e di passaggio e ristoro per i ribelli. Ricorda volentieri il bel giovanotto russo attore accompagnato fin sulle Colombine per sconfinare verso la Svizzera, ma bisogna strapparle il ricordo di Vassili, caduto nella battaglia di Scalvine il 5 settembre ’44: lo trovò dopo sette giorni col ventre aperto e le interiora avvolte attorno al collo.
O quello di Gaetano Castiglione, siciliano di Castroreale (un comune gemellato nel suo nome con Collio), il partigiano Giusto catturato mentre copriva i compagni in ritirata, torturato e impiccato sulla via di Collio che gli è stata dedicata.
Ricorda ancora il suo Sirio, perso nel 2000, la loro cascina sui prati verso la Pezzeda. È stata lì fino al 2002 prima di scendere in paese col figlio Ugo. E poi si congeda così: «Non bisogna guardare i colori per giudicare la gente».
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