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08 Novembre 2012, 08.30

Lettere

«Pirata no? Cosa allora»

di Roberto Merli
Non ce ne siamo occupati direttamente, ma l'uccisione sulla strada di Michela Lupatini avvenuta a Castrezzato lo scorso 22 ottobre ha ugualmente sconvolto tutti noi

Gentile direttore,
in qualità di presidente dell’Associazione “CONdividere la strada della vita”, referente provinciale dell’Associazione Italiana Familiari Vittime della Strada, nonché padre di un figlio investito e ucciso da un ubriaco, ho il diritto, e l’obbligo morale, di censurare quanto riportato dalla stampa locale laddove è riportata la notizia degli arresti domiciliari di Pietro Vessio, il conducente che lunedì 22/10/2012 ha investito ed ucciso la nostra collaboratrice Michela Lupatini omettendo, tra l’altro, di fermarsi a prestarle soccorso e facendo perdere le proprie tracce.
 
Orbene, nel citato articolo leggo, basito, le dichiarazioni virgolettate rilasciate dal legale di fiducia del Vessio, l’avv. Gianbattista Scalvi.
L’avv. ha evidenziato che: ”…si è notata la particolare pacatezza della famiglia della persona offesa…”
 
Mi sia consentito controbattere in prima persona: “mi scusi, avvocato, ma come pensa che ci si senta nei giorni immediatamente dopo tale tragedia?
Cosa s’aspettava che dicesse o facesse la “parte offesa” quando, improvvisamente, le è crollato il mondo addosso?
Quando tutto ciò che la circonda perde il senso e qualcuno, mestamente, le ricorda che non ha ancora scelto di che legno sarà fatta la bara dove sua figlia si consumerà per l’eternità?
Come crede che si stia quando degli uomini in divisa cercano di rassicurarti che “l’uomo cattivo” verrà acciuffato al più presto e tu, con un mezzo sorriso tirato che neanche sai da dove ti viene, ringrazi per il loro impegno?
 
Egr. avv. io posso permettermi di dire tutto questo perché l’ho provato sulla mia pelle… In quei momenti tutto rimbomba… tutto è frastuono… tutto è fuori da ogni logica…
Ma, purtroppo,  hai costantemente un “perché” che ti rimbalza dentro e a cui non sai dare una risposta… quel maledetto “perché proprio mio figlio” che non se ne andrà più via per tutto il resto della vita.
E allora implodi e diventi un cadavere che respira; ma le posso assicurare, avvocato, che non c’è pacatezza dentro anzi, tutt’altro.
 
L’avv. tiene a sottolineare, inoltre, che: ”…c’è poi l’altra persona che vive una situazione di estrema solitudine, per alcuni tratti anch’essa commovente. Una persona che ha ammesso pienamente le proprie responsabilità e che ha una situazione familiare di pesante solitudine con una madre gravemente malata e un fratello da assistere…” e poi prosegue “…parlare di pirata della strada è del tutto inadeguato… il fatto è che quest’uomo ha vissuto da solo con questo terribile peso… alla fine non si è fermato perché gli è crollato il mondo addosso e non è stato capace di prendere nessuna decisione nonostante si fosse accorto…”.
 
Vi  posso garantire, che la situazione di estrema solitudine la vivranno anche il papà, la mamma e la sorella di Michela.
Le ricordo, anche, che il suo assistito è stato arrestato dopo quattro giorni dall’investimento e l’uccisione Michela; quattro giorni in cui si è preoccupato di ricoverare in un’officina il furgone ammaccato e starsene ben rintanato sebbene l’eco mediatico lo tenesse costantemente aggiornato del fatto che tutti, e sottolineo tutti, lo stavano cercando e confidavano che, passato l’immediato stato di paura e spavento, avesse la decenza e la dignità di costituirsi spontaneamente.
Ciò che non è accaduto, tanto basti.
 
Le posso confermare, inoltre, che sulla “parte offesa” non è crollato addosso un mondo (come al suo assistito) ma l’intero universo e se Lei si ostina ancora a precisare che parlare di pirata della strada è “inadeguato” mi dica come definirebbe il suo cliente, visto che sottolinea che nonostante si fosse accorto di aver investito Michela, non è stato in grado di prendere la decisione di fermarsi né, tantomeno, di costituirsi nei giorni a venire.
 
Illustre avv. Lei fa certamente bene il suo mestiere, non lo metto in dubbio, ma non può permettersi di scambiare i ruoli. In questa tragica vicenda c’è solo una vittima, quella che lei chiama giuridicamente “parte offesa” e che io preferisco chiamare Michela.

A nome mio e dei soci dell’Associazione “CONdividere la strada della vita” e dell’associazione Italiana Familiari e Vittime della strada di Brescia
 
Roberto Merli
 
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