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25 Ottobre 2013, 09.40

Punti di Vista

Il Vajont e la Paleofrana

di Aldo Vaglia
Riprendere il discorso sul Vajont è opportuno, perché, a distanza di 50 anni, non a tutti è chiaro che a causarlo sia stata una 'paleofrana'

Che il discorso riguardi anche la Valle dovrebbe allertare e non irritare.
La difficoltà a conoscere i fatti, anche quando sono accaduti, la dice lunga sulla comunicazione scientifica in Italia e la formazione dell’opinione pubblica.

Due veterani del rischio come Peter Sandman  e Jody Lanon riferendosi non solo al Vajont, ma anche al terremoto de l’Aquila così si esprimono: “Gli scienziati non sanno comunicare: quando parlano tra loro tendono ad enfatizzare le proprie lacune di conoscenza, quando parlano in pubblico spesso danno l’impressione di sapere tutto”.

Il disastro del Vajont ha costituito un punto di svolta nella geologia mondiale, alcuni stati come il Canada, ne hanno fatto tesoro  è il caso della frana di Downie: ‘l’insegnamento venuto dal Vajont ha salvato vite umane ed ha permesso di realizzare un’opera strategica per la produzione di energia elettrica in un’area situata nella Britisch Columbia (Canada) lungo il fiume Columbia’

Da noi disastro dopo disastro le cose non cambiano.
“…In Italia gli anniversari luttuosi sono fatti per seppellire i problemi non per risolverli: per attirare folle di curiosi, autorità presenzialiste e conniventi e talvolta per trasformare le popolazioni offese in attori professionisti del loro stesso lutto…” (Paolo Rumiz)

Per prevenire sono necessari studi geologici approfonditi. Il Vajont ha dimostrato cosa accade quando gli studi sono parziali.
Fin dal 1960 il geologo Edoardo Semenza figlio dell’ingegner Carlo Semenza progettista della diga, aveva scoperto un’enorme ‘paleofrana’ che gravava sulla valle e che rischiava di mobilizzarsi.
La presenza di questa frana preistorica non venne presa in considerazione dai geologi coinvolti nella realizzazione della diga. Solo dopo il 9 ottobre del ’63 si e’ capito chi aveva ragione. (Dai tempi di Troia le Cassandre non sono credute, alle verità scomode si preferiscono le bugie rassicuranti)

Nel 2008 l’ONU ha stabilito che il Vajont con i suoi quasi 2000 morti è il maggior disastro procurato dall’uomo, nel mondo, tra quelli che si potevano evitare.
Anche il consiglio nazionale dei geologi oggi concorda che la tragedia è stata prima di tutto una tragedia della scienza.
Poi una tragedia degli uomini che sottovalutarono le dimensioni del fenomeno, ma anche delle istituzioni che avevano il diritto-dovere di controllare.

Il ritornello della mancanza di fondi è anch’esso pretestuoso per perdere tempo.
Da un recente dossier del ministero dell’ambiente si ricava che: dei 2075 milioni di fondi FAS, stanziati per il rischio idrogeologico, dopo tre anni ne sono stati spesi 34, 283 sono in esecuzione, 407 sono in progettazione e dei restanti 775 non si hanno più notizie.

I sindaci hanno le loro responsabilità, ma le responsabilità sono anche della popolazione dice Marco Paolini: “Noi cittadini abbiamo il dovere di pretendere che gli scienziati non facciano abuso di ruoli ed autoritas per vendere pacchetti preconfezionati di notizie e opinioni a buon mercato”.
 
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