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26 Febbraio 2012, 11.00

Musica

La storia del mandolino bresciano

di Fonte: Egidio Bonomi, «Giornale di Brescia», 1 febbraio 2012
Bartolomeo Bortolazzi e l'invenzione a lui attribuita già nel 1805, quando cita questo strumento nel primo metodo per mandolino in lingua tedesca. Quello più antico risale al 1760
 
Il mandolino? Roba da Napoli in giù! se si asseconda uno stracco luogo comune. Invece ha una storia soprattutto nordica, italica ed europea, tanto che nella seconda metà del '700 nasce anche il “Mandolino Bresciano”. L'invenzione è attribuita abitualmente al virtuoso mandolinista Bartolomeo Bortolazzi, che nel 1805 lo cita come suo nel primo metodo per mandolino in lingua tedesca, edito in quell'anno a Lipsia.

Non può sfuggire il cognome del presunto autore, che inevitabilmente richiama, non senza amabile prepotenza, quello del massimo liutaio del Cinquecento, cioè Gasparo Bortolotti da Salò, considerato l'inventore del violino. Il mandolino ha per... ascendenti il colascioncino, derivato dal colascione, a sua volta padre del liuto.
 
Lo strumento, Bortolazzi o no, è presente a Brescia già nel Settecento ed è improbabile che fosse diverso dal Bresciano. Infatti figura nell'elenco degli strumenti utilizzati per l'insegnamento della musica nel Collegio dei Nobili dei Padri Somaschi. Bortolazzi lo chiama «Mandolino Bresciano o Cremonese» ma in realtà non aveva nulla a che vedere con la città del Torrazzo: la definizione col rimando cremonese è una furbata, probabilmente scaturita dalla volontà di sfruttare la celebrità della scuola liutaria cremonese universalmente rinomata.
 
La cassa è costituita da 9 a 17 doghe; la tavola è piatta quasi mai decorata, mentre il manico a volte è finemente abbellito; ha quattro piroli laterali come il violino, corde di budello, lunghezza tra i 31 ed 33 centimetri. Il foro, o rosetta, è solitamente decorato.
 
Il colascione dal manico lunghissimo ha origine uzbeco-persiano-turca, Paesi dove è chiamato datar-tambur-saz. Il “nostro” mandolino è conservato in diversi musei europei. I virtuosi esecutori bresciani erano particolarmente apprezzati, in pieno Settecento nelle maggiori corti d'Europa.
 
Lo stesso Bortolazzi (nato a Toscolano nel 1772) era famoso a Parigi, Londra, Vienna, in Germania. Si è sempre favoleggiato d'un suo naufragio nell'Atlantico, ma il maestro bresciano Ugo Orlandi, docente di mandolino al Conservatorio di Milano e maggior virtuoso italiano dello strumento (unitamente a Dorina Frati, pure bresciana e sua allieva) avrebbe «scoperto» che in realtà il Bortolazzi chiudeva dolcemente i suoi giorni terreni in Sudamerica.
 
A loro volta i fratelli bresciani Domenico e Giuseppe Colla si esibirono tra il 1740 ed il 1770 nelle principali corti del vecchio Continente. Altri due virtuosi bresciani, i fratelli Giacomo e Giuseppe Bernardo Merchi, che a lungo sono stati erroneamente ritenuti napoletani, avevano goduto d'ampio successo nella seconda metà del Settecento. Entrambi sono morti a Parigi.
 
Singolare la storia del Mandolino Bresciano più antico, costruito nel 1760 in Germania da François Lupot. Con ogni probabilità il liutaio francese lo realizzò su indicazioni dei fratelli Colla, con lui ospiti alla corte di Württemberg. Brescia è stata città e provincia di fioritura di numerose formazioni mandolinistiche in questi ultimi tre secoli.
 
Un'ultima a nota curiosa che viene dal passato merita d'essere citata a proposito della «Società mandolinistica femminile», costituita di sole donne (ovviamente) e fondata nel 1884 dal maestro Angelo Chibarro. Risulta che lo strumento non fosse vietato alle signore, come invece avveniva per molti altri, data la maneggevolezza e la gentilezza. 
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