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21 Gennaio 2013, 09.30

Terza pagina

Non basta più un «J'Accuse...»

di Leretico
Nel gennaio del 1898 un articolo dirompente fu pubblicato dal giornale francese L'Aurore intitolato "J'Accuse...!". Conteneva una lettera aperta dello scrittore Emile Zola all'allora Presidente della Repubblica francese Felix Faure
 
Quell'articolo fu talmente efficace che la locuzione "j'accuse" è entrata stabilmente nella lingua italiana per denunciare un'ingiustizia.
Si vede che in Italia dalla fine dell'Ottocento in poi c'è stato molto bisogno di pronunciare questa parola, la frequenza ha determinato la stabilità d'uso.
 
La ragione della lettera di Zola era la denuncia della ingiusta condanna di un militare ebreo di origine alsaziana per spionaggio a favore della Germania, nemico storico soprattutto dopo la bruciante sconfitta francese a Sedan nel 1870.
Il fatto che nell'accusa di spionaggio fosse coinvolto un ebreo provocò in Francia un'ondata di feroce antisemitismo.
 
Su questo tema si confrontavano ormai da anni la destra nazionalista e i democratici della Terza Repubblica.
Così quando nel 1894 si venne a sapere che Dreyfus si era reso colpevole di spionaggio contro la patria, la tensione tra queste due fazioni arrivò al massimo e non si spense del tutto nemmeno dopo la sua riabilitazione avvenuta solo nel 1906.
 
La battaglia per la liberazione di Dreyfus fu durissima e senza esclusione di colpi.
Fu il momento più importante di confronto tra due modi di pensare: quello nazionalista antisemita e quello democratico socialista a cui apparteneva anche Zola.
 
È importante ricordare che qualche anno dopo Mussolini prese a piene mani dall'ideologia nazionalista francese di quegli anni i motivi di fondazione del suo movimento fascista ma non si appoggiò all'antisemitismo nella sua propaganda iniziale.
Ne fece tristemente uso dal 1938 in poi, quando fece approvare quelle leggi razziali di cui ancora oggi ci si dovrebbe vergognare.
 
L'antisemitismo, nella sua versione più feroce, fu ampiamente sfruttato da Hitler che ne fece il puntello di tutta la politica nazional-socialista tedesca dal 1933 fino al maggio del 1945.
Sappiamo come è andata a finire. Milioni di morti ebrei nei campi di concentramento, sacrificati in nome di un'idea coltivata per secoli, scolpita nel DNA europeo ed estremamente facile da usare a scopi di propaganda.
 
Il 27 gennaio di ogni anno si celebra il "Giorno della Memoria" per ricordarci i morti nei campi di concentramento nazisti, ma soprattutto per insegnarci cosa significa abbandonare il solco della ragione per percorrere le strade facili dell'odio e dell'insensatezza.
 
Quell'immensa tragedia nacque molto tempo prima e come un mostro si cibò delle semplificazioni immorali e irrazionali cavalcate dai nazionalismi senza scrupoli. Si sviluppò nel cuore dell'Europa scossa da un lato dalle crisi economiche post prima guerra mondiale e dall'altro dalla paura della rivoluzione comunista sovietica.
 
Nessun "j'accuse" sorse negli anni tra le due guerre mondiali, e anche se ci fu non ottenne i risultati di Zola.
Nessun "j'accuse" poté mai essere scritto contro il regime fascista mentre mandava a morire in Russia la migliore gioventù italiana e valsabbina.
Morti per nulla nel ghiaccio e nella neve assassina dell'inverno sul Don. Anche queste vicende vengono ricordate giustamente in questo gennaio 2013.
 
Oggi viviamo in un periodo di crisi paragonabile a quello degli anni Trenta dello scorso secolo.
Si uscì da quella tremenda crisi economica (si legga il libro di Steinback intitolato "Furore" per capire la drammaticità concreta di quegli anni negli Stati Uniti) solo dopo la Seconda Guerra mondiale e forse tragicamente anche per effetto della stessa, prima grazie agli investimenti in armamenti e dopo grazie a quelli per la ricostruzione.
 
Uscire dalla crisi di questo inizio secolo sarà più difficile di allora.
A differenza dei periodi più bui oggi ci mancano gli intellettuali, gli "homme de lettres" alla Voltaire, quelli capaci degli atti di coraggio alla Zola, o capaci di veri "Io so" come Pasolini.
 
Sarà più difficile perché nel secondo dopoguerra non c'erano colossi economici come Cina e India da battere sul mercato, tutto era da conquistare senza grossi competitori in campo con costi di produzione dieci volte più bassi, se non di più.
Negli anni cinquanta il PIL italiano sfiorava mediamente il 5% mentre oggi siamo a meno 2,5%.
 
Il rischio quindi che gli interessi politico economici occidentali si orientino verso una nuova guerra è molto concreto purtroppo, tanto quanto sarà improbabile che un altro "j'accuse" possa ergersi contro questo pericolo con la forza che ebbe quello di Zola ormai più di un secolo fa.


Leretico
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