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27 Ottobre 2013, 09.30

Punti di Vista

La puzza sotto il naso

di Aldo Vaglia
Dal 'turarsi il naso di Montanelli', alla 'puzza sotto il naso' di Renzi, il naso in politica conta più dell'intelligenza. Se poi a sinistra manca l'uno e l'altra, la frittata è fatta

Secondo Renzi la sinistra è affetta da una tale e durevole condizione di ‘puzza sotto il naso’ da renderla incapace di conquistare sia i voti dei 5Stelle che quelli della destra- Di una sinistra così -aggiunge Renzi– non so che farmene.
Che voti e denaro non puzzino è un’idea difficile da condividere, ma i ‘pochi ma buoni’ sono la forma di cretineria più smaccata che già Sciascia denunciava fin dal 1963.

“Fino a quell’epoca i cretini erano solo di destra…i cretini di sinistra sono molto più pericolosi di quelli di destra perché alla loro imbecillità aggiungono il fanatismo e il disprezzo del governo”.
Alle conclusioni di Sciascia si possono aggiungere quelle del prof. Gianfranco Pasquino: “Siamo di fronte ad un apparato di mostruosità privo della più elementare forma di dignità… alla sinistra riesce bene tenere stretto il potere… questa becera sinistra non è la vera sinistra, questa predica ancora l’odio di classe nonostante i suoi dirigenti possiedano panfili e case a New York…”

In questo non si può dare torto a Renzi. Si parla genericamente di masochismo o di volersi far del male quando si esce perdenti da elezioni praticamente vinte in partenza. Ma questa è una visione ottimistica. In quel che succede dalle parti della sinistra non c’è volontà. L’unica volontà è quella di essere incollati al potere. La paura di perdere il ruolo da ‘prime donne’ci fornisce lo spettacolo a cui abbiamo dovuto assistere con l’elezione del presidente della repubblica e la formazione del governo.

Il fottere i propri elettori per vantaggi personali è diventato il principale sport di questa legislatura. In una crisi, tra le più drammatiche dalla fine della guerra, i partiti e gli eletti non trovano di meglio che dividersi su tutto. Perfino sul nome del governo mentono.
A meno che per larghe intese non si intenda dare i soldi alle banche e chiudere il credito a famiglie e imprese, tassare i deboli ed esentare i ricchi, proteggere i garantiti e i privilegi (che si fanno passare per diritti acquisiti), salvare gli evasori e i condannati, non si vede alcuna intesa sul come uscire dalla recessione che ci tormenta dal 2008.

Il ventennio trascorso era iniziato con un atto di fiducia per una classe politica meno dedita alle chiacchiere e più rivolta a politiche che rimettessero al centro la questione settentrionale come questione nazionale.
L’arretramento dell’Italia fino dal 1500 è dovuto alla perdita della sua competitività industriale.
Il mantenimento di strutture sociali che non si aggiornano e la formazione di gruppi dirigenti estranei all’economia, dove prevalgono: amministrazione, diritto e cultura umanistica, sono state tra le prime cause del declino.

L’avvento di nuove formazioni, sembrava rompessero con l’atavico problema che funestava lo sviluppo del paese. Ci si accorse troppo tardi che la contestazione di una certa cultura non era per contrapporne un’altra, ma perché non se ne aveva nessuna.
Se il cambiamento di paradigma può essere solo quello proposto dalla deindustrializzazione, dal ritorno alla natura, dal rifacimento con abiti moderni del luddismo, dal ribellismo piccolo borghese condito da violenza gratuita, dal No alle 370 opere strutturali già progettate e finanziate in omaggio alla bassa velocità, è meglio lasciar perdere. Al peggio non c’è mai fine.

L’organo dell’olfatto uno dei sensi più sofisticati di cui disponiamo è destinato ad essere maltrattato anche in futuro.
 
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