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18 Febbraio 2014, 08.00
Pezzaze Valtrompia
Storie

Odette Fada, una chef triumplina negli Stati Uniti

di Andrea Alesci
Un'intervista alla 51enne Odette Fada, nata a Lavone di Pezzaze e da ventisei anni chef oltreoceano prima in California e poi a Manhattan, dove vive ancora oggi insieme al marito (anch'egli chef) Philippe Bertineau
 
C'è chi resta in Valtrompia e chi parte per il mondo seguendo comunque le proprie passioni. Sopratutto, restando triumplini nell'animo come nel caso della 51enne chef Odette Fada, nata a Lavone come dice lei "ventisei anni e qualche mese fa (anche se è un po' di tempo che i mesi si accumulano!)" e che ci ha raccontato la sua storia.
 
Odette, già da bambina sognava che da grande sarebbe diventata chef?
Come tante bambine volevo diventare una ballerina ma gia mi divertivo a fare torte e crostate e andavo a raccogliere le erbette di prato con la mitica "Augusta" per fare la minestra di erbe di cui andavo e vado ancora pazza. 
 
Quali sono state le prime esperienze tra i fornelli qui in Italia? 
Ho iniziaato a muovermi nei rifugi e trattorie della Valtrompia (Prati Magri, Vaghezza, Maniva) e sul lago di Garda dai 13 ai 16 anni. Mi sono diplomata al centro di formazione professionale di Iseo e poi ho fatto il liceo sperimentale linguistico, perché già sapevo che volevo viaggiare e fare esperienze lavorative in giro per il mondo.

Come ha fatto il balzo oltreoceano e com'è arrivata proprio nella Grande Mela al prestigioso "San Domenico" e ora diventato SD26?
Stavo lavorando al Castello Malvezzi con lo chef Davide Pelizzari e mi sono presa un mese di ferie per andare a visitare mio cugino che abita a Los Angeles. Mi interessava conoscere meglio la cultura americana e cosi ho cercato un lavoro a Los Angeles. L'ho trovato a Pazzia, il ristorante di Mauro Vincenti e ho telefonato a casa dicendo non sarei tornata per qualche tempo.
 
A Pazzia stava facendo delle serate Gianfranco Vissani e quando sono andata a chiedere di lavorare è stato lui che mi ha fatto il colloquio. Così, ci siamo conosciuti e quando sono tornata in Italia dopo un anno di California, sono andata nel suo ristorante a Orvieto per fare uno stage, poi mi sono fermata alle sue dipendenze (Orvieto e Roma) per circa due anni.
 
Contro tutte le mie previsioni sono tornata a Los Angeles come chef del Rex, il ristorante dello stesso proprietario di Pazzia. Sono rimasta per sei anni al Rex (nota location cinemtaografica di molti film, tra cui anche Pretty Woman), fino a quando mi è stato offerto il posto da chef al San Domenico di Tony May. 
 
Che differenze ci sono nel modo di lavorare e vivere degli americani? 
Quando io sono arrivata negli Stati Uniti mi sono accorta che nessuno cucinava a casa se non per il famoso pranzo del giorno del Ringraziamento; e la pausa pranzo praticamente non esiste, hanno uno stacco massimo di mezz'ora e mangiano in ufficio (ora davanti al computer), mentre i ragazzi mangiano a scuola.
 
Quale valore aggiunto può portare la cucina italiana negli Usa? Nei suoi menù ci sono ricette della tradizione bresciana, in particolare triumplina?
Difficile fare una cucina "bresciana" perche non riusciamo ad avere tutti gi ingredienti che servono, e non parlo dei singoli ingredienti ma proprio del gusto particolare. Mi spiego: il salame non può essere importato negli Usa, lo fanno anche qui ma non è la stessa cosa; le erbette dei prati di montagna quando c'è il disgelo qui non si trovano, i porcini del Monte di Mondaro me li sogno...
 
Nonostante tutto questo ho cucinato alcune cose tipiche di Brescia: dal manzo di Rovato al luccio alla torbolese, piatti apprezzatissimi da tutti. In dicembre sono stata invitata a un party ma hanno voluto che cucinassi qualcosa, così ho fatto la polenta teragna per un centinaio di persone: un successone! L'ultima volta che sono stata in Valtrompia una mia amica mia ha insegnato a fare gli gnocchi di pane con la ricetta di Pezzaze per ora li ho cucinati solo per me e Philippe (mio marito, anche lui chef), ma presto li inserirò certamente in qualche menù.

Qual è la portata che le piace più di tutte cucinare e quale quella che le dà più gusto mangiare? 
Credo di andare a periodi: a volte mi metto a fare dolci, altre volte il richiamo della pasta fresca è piu forte e cosi lascio perdere l'impastatrice e la sfogliatrice e faccio tutto a mano; la pasta tirata a mattarello sull'asse di legno ha un profumo, un sapore e una consistenza impagabili.
 
A volte invece ho bisogno dicucinare qualcosa di più consistente (nella tecnica) passo alla carne (brasati, stufati, ecc), ma quello che più di tutto mi piace mangiare sono i passatelli in brodo di mia mamma Cecilia o lo spiedo che faceva sul fuoco mio papà Renato.

Che cosa le manca dell'Italia? E se dovesse descrivere il suo Paese visto con gli occhi di chi abita lontano, che piatto sarebbe?
Un piatto non basta a descrivere l'Italia ma il rito e il piacere del pranzare insieme sì. Forse questa è la cosa che potrebbe descrivere l'Italia ed è anche ciò che mi manca, insieme agli amici, alla mia famiglia ed ai sapori veri e le montagne della Valtrompia.

Com'è cambiata la professione di cuoco nel corso del tempo? 
la professione del cuoco nel tempo non è cambiata così drasticamente come ci si potrebbe immaginare. Gli chef però devono essere più consapevoli della cucina del resto del mondo; come in tutte le professioni non ci si può isolare e bisogna continuamente tenersi informati circa le nuove tecnologie e prodotti.
 
Comunque, è davvero divertente pensare che fino a qualche tempo fa la cucina più ricercata e d'elite fosse quella che usava ingredienti esotici o di non facile reperibilità. Al giorno d'oggi con la globalizzazione possiamo avere tutto (o quasi) quando e dove vogliamo, e la cucina d'elite è fatta con prodotti locali e molto "rustici".
 
Oggi dove lavora e con che mansione? E che cosa vuol dire vivere in una metropoli-mondo come New York City?
Dopo molti anni nella ristorazione, ho voluto provare a lavorare in un modo diverso e ora sto facendo consulenze, cene private e lezioni. Nel mio tempo libero mi piace(rebbe) fare trekking, parapendio, sciare; insomma, ho bisogno di sentire l'adrenalina nel sangue. A NY però mi è difficile perché dovrei uscire da Manhattan e devo aspettare di venire in Italia per sbizzarrirmi. Qui nella City leggo, cerco di tenermi aggiornata e informata  sulle novità della cucina, vado a provare ristoranti nuovi.

Qual è la forza direttrice che ogni giorno la anima nel dirigere il lavoro in cucina?
La cosa importante per me è che il cliente (ma anche i miei collaboratori) sia contento e che abbia vissuto una esperienza da ricordare. Quindi non è più solo il piatto in sé, ma anche l'atmosfera, il servizio e possibilmente l'interazione con la cucina.  

In una realtà complessa e complicata come quella odierna, qual è la chiave per una cucina di successo? 
Bisogna continuamente mettersi alla prova, non si può vivere su ciò che si ha fatto in passato e, se per successo si intende quello economico, bisogna avere un gran buon senso degli affari, perché che qui a NY è indispensabile. Ma è anche necessaria una certa dose di fortuna.
 
Oggigiorno sono molte le trasmissioni televisive e le rubriche che parlano di cucina, i corsi gastronomici sono aumentati e con esso il numero dei cuochi impegnati. Crede che questo innamoramento per la cucina sia espressione del bisogno di creare tipicamente italiano, che con pochi ingredienti riesce a dar sapore alla vita, forse un bisogno di tornare alle cose semplici?
Penso piuttosto si cerchi di ritrovare un tempo perduto, non tanto dei sapori ma forse proprio nello stare bene insieme, nel riuscire a mettere in comunicazione chi mangia con l'anima di chi cucina.
 
 
Nelle foto, dall'alto in basso: un primo piano della chef Odette Fada; insieme al marito chef Philippe Bertineau; Odette in cucina; un piatto di vitello tonnato nel menù della chef triumplina (foto Rogerio Voltan).
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