In Europa la separazione tra potere religioso e politico è costato moltissimo in termini di vittime e di guerre per secoli.
L'Italia ne è la prova più evidente: terra divisa fino al 1860 anche e soprattutto a causa della presenza della Chiesa, restia a cedere il proprio potere politico militare, esercitato per centinaia d'anni sulla penisola italica e oltre.
Nei paesi islamici questo passaggio, questa divisione, non è mai avvenuta e se si analizzano le zone come il medio oriente o il nord Africa in cui la guerra divampa, scopriamo ovunque la matrice religiosa come substrato essenziale di tutti i conflitti politici e militari in corso.
In quei luoghi i capi politici sono anche capi militari e capi religiosi. Il laicismo è malvisto, puzza di infedele. Sciiti e sunniti si combattono per il predominio politico, mentre il loro Dio sembra stare a guardare da che parte pendere: ovviamente da quella del vincitore, appena ce ne fosse uno.
Forse siamo partiti dalla fine del racconto mentre avremmo dovuto cominciare dal suo inizio: 1989, caduta del muro di Berlino e fine del comunismo.
Improvvisamente quei paesi arabi che nella guerra fredda si erano schierati con l'Unione Sovietica contro gli Stati Uniti si trovarono senza copertura ideologica. Ciò che in qualche modo incanalava il loro risentimento, il loro senso di inferiorità industriale, economica e politica, era venuto a mancare. La cortina di ferro si era sgretolata condannando il mondo arabo filosovietico, dopo tante disfatte militari ed economiche, ad una ulteriore sconfitta, la più grande.
Se si pensa all'attacco alle torri gemelle di New York nel 2001 dal punto di vista dell'Islam radicale, quello fu il momento della vendetta, della riappropriazione del senso del proprio destino, della conquista armata di un ruolo dominante nel magma quasi indecifrabile delle correnti religioso-politico-militari in quelle infauste terre tra il Mediterraneo e l'Afghanistan.
Per la retorica populista dell'Islam estremo, qualcuno finalmente aveva avuto il coraggio di attaccare, con grande onore, il diavolo a casa sua.
Ovviamente eroi, martiri che ora siedono in paradiso, mentre le loro vittime bruciano giustamente all'inferno, essendo cani infedeli.
Purtroppo gli Stati Uniti, reagendo all'attacco di Bin Laden prima con l'invasione dell'Afghanistan e poi con quella dell'Iraq, non dimostrarono molto pensiero sistemico.
I risultati di quelle guerre sono sotto gli occhi del mondo intero: un disastro sia in termini di stabilità politica dell'area che in termini di rinvigorimento del terrorismo.
La situazione è tanto fuori controllo che persino l'Iran, nemico storico degli Stati Uniti fin dal 1979, per non perdere potere e influenza nella zona, si è recentemente alleato con gli americani per combattere le forze dell'Isis, i terribili e sanguinari guerrieri neri del califfato islamico installatosi con tanto di bandiere, cannoni e lunghi coltelli nella parte nord occidentale dell'Iraq.
Quanta lungimiranza ha avuto l'Occidente nell'alimentare la crescita della parte peggiore di quel mondo, quello degli scannatori di professione che fanno del terrore e delle armi i loro mezzi politici preminenti.
Prima almeno (per modo di dire) si facevano saltare con qualche bomba, ora sono al delirio: vogliono superare Dario Argento negli effetti speciali del terrore, vogliono andare al di là di qualsiasi incubo l'Occidente abbia mai potuto esperire.
I buoni conoscitori di quel mondo, i famosi "osservatori", di fronte alla strage di Parigi, nonostante storcano un po' il naso alla retorica dell'attacco alla libertà, che pure è reazione umana condivisibile, insistono a inquadrare questi atti nell'ambito della lotta di potere all'interno dell'Islam.
Attaccare l'Occidente è simbolico, porta consenso in quel mondo sempre a caccia di eroi, specialmente se sanguinari.
Il terrorismo è atto vile perché è guerra verso inermi cittadini.
Purtroppo è una guerra facile, poco costosa e dal grande effetto mediatico, adatta ai morti di fame. Pochi uomini nerovestiti, determinati e incappuciati, possono mettere in angoscia nazioni intere.
Mai potranno esistere sistemi di intelligence capaci di bloccare cose del genere.
Anche alle più efficienti strutture di investigazione segreta possono sfuggire questi eventi, organizzati da ex combattenti usi alle armi e alle azioni di guerriglia, forse residenti in Europa dalla nascita, frequentanti la moschea il venerdì e il bar di quartiere gli altri giorni, rientrati in segreto dopo alcuni mesi di combattimento tra le macerie delle città siriane sotto i bombardamenti. Pronti, insomma, a fare azioni di forza senza alcuna remora.
Fermare con mezzi tradizionali questa gente è impossibile.
Altre vie dovrebbero essere seguite, sempre che non ci si voglia inventare un'altra bufala, come quella del possesso di armi atomiche da parte di Saddam Hussein, per distruggere il terrorismo, scoprendo alla fine di averlo reso più forte di prima.
Si potrebbe cominciare con un politica estera meno arrogante, che riesca a far emergere e vincere in quei paesi l'Islam moderato, che invece oggi timidamente fa sentire la propria voce nella paura di essere trattato come i vignettisti parigini di Charlie Hebdo.
Si potrebbe favorire una maggiore ricchezza in quei paesi oggi straziati da povertà e guerra, si potrebbe usare meno la forza e più l'intelligenza politica, si potrebbe insomma non solo prendere ma anche dare.
Il terrorismo rosso in Italia finì quando la sinistra lo denunciò, quando gli operai delle fabbriche si ribellarono alla logica mafiosa del terrore, quando lo Stato abbozzò una certa capacità di intelligence che prometteva di trovare e punire i colpevoli.
Il terrorismo islamico finirà quando l'Islam rinnegherà veramente questi gruppi sanguinari invece di tollerarli perché capaci di alzare le armi contro il nemico comune.
Quando smetteranno di pensare, pur dichiarando ipocritamente il contrario, che Dio ammette l'uccisione di esseri umani come mezzo lecito per far prevalere il proprio credo, le cose cambieranno.
Fino ad allora aspettiamoci altri attacchi alla libertà dell'Occidente, altri morti innocenti sul sentiero insanguinato dell'uomo nero.
Leretico