Nella zucca vengono messe delle noci.
Ovviamente la dimensione del pertugio è tale che noce e zampa non riescano a passare contemporaneamente.
La scimmia dunque, si avvicina furtiva alla zucca legata al terreno con uno spago, introduce la zampa nell'apertura ed afferra dal fondo una noce. Malauguratamente non riesce a farla uscire dal pertugio.
La cosa incredibile è che la scimmia, mentre si avvicinano gli esseri umani per catturarla, non riesce a liberarsi: è condannata dalla sua avidità.
È così presa dall'idea di mangiare quella noce che stringe forte nella zampa, da rinunciare a scappare verso la libertà.
Questa piccola storia, di una scimmia che è bloccata nel scegliere tra due valori, il primo materiale il secondo ideale, e per questo rinuncia a ciò che noi umani riteniamo massimo, è in fondo una metafora potente dei tempi corrotti che stiamo vivendo.
"Mafia capitale" è un picco elevatissimo di questa deriva, ma ciò che si intravede dietro tale miserrimo spettacolo, è molto peggio.
Se infatti pensiamo alla scimmia che non lascia andare la noce, ci vengono in mente subito quegli stipendiati del comune di Roma che per qualche migliaia di euro al mese, hanno rinunciato incredibilmente alla dignità, alla libertà non solo materiale ma anche spirituale.
Sono rimasti lì, con la mano attaccata ai quei soldi fino al momento della finale scoperta, della vergogna, della gogna mediatica.
Ma il peggio non è, come dicevo, solo questo.
È l'insieme delle condizioni, il contesto in cui lo scandalo della corruzione romana è scoppiato. È un andazzo, un modo di essere, entrato nel quotidiano, nella normale consapevolezza degli italiani. È figlio dello stesso refrain che spesso sento dalle persone più comuni: per diventare ricchi bisogna in qualche modo rubare.
Una generalizzazione così errata e banale diventa purtroppo realtà sempre più evidente, a colpi di amministratori arrestati per malversazione o per corruzione, dirigenti beccati in flagrante con la mazzetta in mano, intere giunte comunali marce fino al midollo.
E ci chiediamo quali siano le cause più profonde di questo male che ci affligge da secoli e che ci vede tristemente ai primi posti nelle classifiche mondiali.
Perché un dipendente pubblico, un amministratore, un dirigente politico o sindacale accetta di distruggere la propria integrità, la propria dignità sociale?
Quale meccanismo perfido agisce sotto la superficie tanto da trasformare queste persone in criminali e ladri?
Non credo assolutamente che queste persone facciano calcoli di opportunità basandosi sulla incapacità conclamata della giustizia italiana di perseguire il più piccolo colpevole, sempre intenta com'è alle lotte di potere in cui pagano sempre solo innocenti e non protetti.
Meglio, non penso che questa sia la prima o la sola cosa a cui pensano.
Credo invece che queste persone abbiano il mito della ricchezza, delle vacanze, delle belle auto, dei profumi e delle amanti.
E che passano la vita a fingere di volere il bene del prossimo, adattandosi a ruoli secondari nella pubblica amministrazione in attesa dell'occasione per arricchirsi.
Invecchiando in questa tediosa posizione si sentono frustrati, amareggiati, perdenti e non possono credere ai loro occhi e alle loro orecchie quando qualcuno chiede loro, in cambio di denari che potrebbero guadagnare solo in un vita, di rinunciare alla legalità del loro compito, di aggiustare una gara di appalto, di favorire l'amico di un amico, di assecondare quello che tutti in fondo pensano sia necessario per poter lavorare, ossia oliare i meccanismi, semplificare il sistema: insomma chiede loro di farsi corrompere.
Il loro individualismo emerge, coltivato in anni di spot commerciali e lifting promessi alle mogli infelici, prorompente, inarrestabile.
Il calcolo è presto fatto: vale la pena rischiare. E così, essendo meglio per loro una pelliccia che una squallida cena in un pizzeria di periferia con moglie e figli a seguito, condanna considerata immeritata dopo tanti anni di bieco arrancare in ruoli subalterni, così dicevo accettano le mazzette, i soldi, le unzioni.
Manipolano, favoriscono zelanti il loro nuovo padrone, incuranti dell'anima, questo inutile fardello di cui tacitare le stupide proteste.
Siccome l'appetito vien mangiando, raggiunto con il nuovo reddito un tenore di vita prima impensabile, velocemente abituatisi alla dolcezza del benessere, alla brillantezza del nuovo vivere, chiedono sempre di più, vogliono sempre di più.
Non si accorgono, con la zampa che si incastra irrimediabilmente nel pertugio ricavato nella zucca, che gli inquirenti stanno indagando su di loro. Percepiscono i segnali che stanno arrivando, ma non mollano la noce, si fanno arrestare senza percepire fino in fondo la gravità della loro situazione.
L'occasione fa l'uomo ladro, ma solo chi è predisposto da anni di preparazione al furto scatta come una molla quando la succitata occasione si presenta.
È simile ciò che accade ai pedofili, i quali si fanno preti o bidelli per avere l'occasione di sfogare ciò che desiderano da anni, intimamente nascosto nel profondo, pronto a venir fuori quando la loro pianificazione certosina dei momenti e delle situazioni li porta al risultato tragicamente desiderato.
Così i corrotti lo sono già nel profondo, per superficialità incrostata di falsi ideali e di tragiche mediocrità, sin da giovani adolescenti, pronti a crearsi l'occasione per dimostrare a tutti come furbescamente sanno sopravvivere alla violenza del mondo, alla ingiustizia che li colpisce non facendoli da subito ricchi.
Parafrasando il famoso film intitolato "Il pianeta delle scimmie" (1968), il contesto in cui viviamo è proprio quello di quegli astronauti che ritornando sulla Terra, lo trovano popolato di scimmie intelligenti, arroganti e violente.
Proprio il mondo che stiamo creando, che stiamo così imprudentemente sviluppando, a meno che non ci mettiamo tutti, con impegno, a coltivare zucche e a raccogliere noci, unico rimedio rimasto, sembra, per difenderci dalla corruzione dilagante.
Leretico