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02 Marzo 2015, 09.14

Quaderni di Cinema

Il «Vizio di forma» che sembra un Big Lebowski scandito e allungato

di Nicola 'nimi' Cargnoni
Confermando la sua abitudine a realizzare film di durata straordinaria, Paul Thomas Anderson torna nelle sale con un affresco sulla Los Angeles degli anni Settanta

A uscita sala, a caldo, la prima definizione che si potrebbe dare di «Vizio di forma» è che si tratti di un «Grande Lebowski» al rallentatore, allucinante e allucinato, con (circa) tre quarti d’ora di troppo.
Entrando nel merito, in maniera più lucida, occorre comunque sottolineare la vivacità dell’affresco tracciato dal regista californiano, che mette in moto un caleidoscopio di personaggi, situazioni e stereotipi che relegano la linearità della trama su uno sfondo vacuo e rarefatto.

Joaquin Phoenix si dimostra straordinario e istrionico nell’interpretazione del protagonista Doc Sportello, un hippie dedito al consumo di cannabis e che, di mestiere, fa l’investigatore privato a tempo perso.
In sostanza Doc viene incaricato dalla sua ex ragazza Shasta di indagare sulla probabilità che l’attuale amante della donna (il palazzinaro Mickey Wolfmann) sia scomparso e sia stato internato per volontà della moglie e del suo amante.

Già l’incipit ci scaraventa in una situazione che ha sulle spalle un notevole carico di assurdità.
Doc inizia le indagini e, fin da subito, gli scomparsi diventano due, tre. Poi si aggiunge un omicidio, sul quale indagherà il poliziotto “Bigfoot” (uno strepitoso Josh Brolin), vera e propria nemesi del protagonista, il tutto ricalcando un andamento fumettistico per la messa in scena di questo teatro dell’assurdo, confermando che solo un regista come Anderson poteva permettersi il lusso di trasporre un romanzo di Thomas Pynchon.

E a proposito del romanzo di Pynchon, occorre spendere due parole proprio sul titolo del libro (e quindi del film), che è «Inherent vice», senza nemmeno correre il rischio di svelare qualcosa della trama: tradotto letteralmente, significa vizio intrinseco che (cito) «è quell'elemento disfunzionale, insito nella cosa assicurata, che può produrre o aggravare il danno».
I contratti assicurativi c’entrano e non c’entrano, come qualsiasi elemento del plot narrativo, ma quello che interessa a noi è lo spunto meta-testuale che il titolo ci offre: il difetto intrinseco del meccanismo che regola il rapporto tra il singolo e il collettivo (un leitmotiv che ripercorre tutto il cinema di Paul Thomas Anderson da «Magnolia» fino a «The master», passando per «Il petroliere»), ovvero la tendenza al deterioramento di un oggetto, dovuta alla instabilità delle componenti interne.

Con una postilla sull’incoerenza tra l’espressione usata in fase di doppiaggio (vizio intrinseco) e la scelta della traduzione del titolo di romanzo e film (Vizio di forma, certamente più accattivante di vizio intrinseco, anche se scorretto), l’allegoria sulla società appare abbastanza lampante: il vizio intrinseco è quella lenta disgregazione interna che la Los Angeles degli anni Settanta ha vissuto al proprio interno; e Doc Sportello rappresenta alla perfezione il nodo centrale dell’opera di Anderson, anche grazie alla voce narrante di Sortilège (proiezione mentale del protagonista) che appare e scompare improvvisamente, dando la perfetta misura del rapporto che i personaggi del film vivono divisi tra Uno, Doppio e Collettivo.

La persistente e costante nebbiolina prodotta dalle canne che il protagonista si fuma in qualsiasi momento è il reale filo rosso di un film che mischia il grottesco al noir, mettendo in moto un caleidoscopio di situazioni e personaggi assurdi, eterogenei, totalmente opposti, eppure così rappresentativi di quegli anni: l’hippie libertino e cannaiolo, il poliziotto sospettoso della potenzialità sovversiva di ogni singolo gruppo, la fratellanza ariana, le gang di neri, le piscine delle ville di Hollywood, i traffici di droga, società dai nomi esotici, avvocati improvvisati e altri protagonisti sconclusionati, fuori di testa e che ben ricalcano lo spirito di una società dove il consumo di droghe era il vero motore; a questo enorme affresco vivente di personaggi volutamente esagerati occorre affiancare una colonna sonora splendida e una fotografia coloratissima e sgranata, entrambi elementi che rievocano fedelmente le atmosfere di quegli anni.

«Vizio di forma» segna comunque le ansie, i colori, le abitudini, le esagerazioni e le sfaccettature di una Los Angeles al termine dell’esperienza contro-culturale, messa di fronte al fallimento del sogno hippie e alle tragedie di Altamont e Charles Manson, che avevano bruscamente smentito le speranze emerse pochi mesi prima da Woodstock.
Si tratta di una Los Angeles anticipatrice di quella del lynchano «Mulholland Drive» e che, proprio per questo, non si può spiegare, né analizzare. Va presa così com’è, proprio come occorre fare con il protagonista stesso, soggetto totalmente empatico al pari dell’amico-nemico Bigfoot: due personaggi così diversi e così opposti che fanno da ipotetico confine di un enorme e altrettanto ipotetico “territorio umano”, all’interno del quale si muovono tutti gli altri protagonisti e comprimari.

C’è da dire, però, che il film stesso si trasforma in un trip.
Una prima parte esilarante e maestosa si dilunga in una seconda parte dove le canne e le droghe sembrano fare effetto sulla pellicola. I ritmi sono dilatati e allungati e alcune situazioni sono mantenute su un tempo che sembra voler richiamare la fase di “down” dopo l’iniziale adrenalina. Gli ultimi quarantacinque minuti segnano un finale in calando, dando una misura un po’ manieristica del lavoro di P.T. Anderson.
A dirla tutta il regista è bravissimo a ricalcare le tempistiche che possono essere dettate dall’altalenante effetto della droga, però occorre essere onesti: quando si decide che il vero protagonista è il nonsense, bisogna avere la capacità di decidere quando e dove “tagliare”, perché un potenziale capolavoro rischia di essere “ucciso” da un’abbondante parte finale non all’altezza.

Valutazione: ***. 

Nicola ‘nimi’ Cargnoni

In uscita giovedì 26 febbraio (da segnalare): Vizio di forma, Maraviglioso Boccaccio, The repairman.

Già nelle sale (da segnalare): Un piccione seduto su un ramo…, Timbuktu, Whiplash, Birdman, Biagio, Educazione affettiva, Gemma Bovery, Turner, Difret, Piccoli così, Still Alice.

Per conoscere la programmazione della provincia:
1.    Andare su http://www.mymovies.it/cinema/brescia/
2.    Appare la lista dei film presenti in città e provincia.
3.    Per ogni film è segnalato il paese o il cinema in cui lo si può trovare.


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