GIOVEDÌ 26 MARZO
Edgar Reitz è il regista che tiene la consueta “lezione di cinema” mattutina al teatro Petruzzelli; proprio come Scola e Wajda, anche se più giovane, fa parte di quella generazione di registi emersi negli anni del boom economico europeo e la sua lezione prende il via proprio da questo, dallo stesso e universale bisogno di “prendere parte”, di partecipare, di contribuire e di essere presente.
Il bisogno principale di Reitz e degli altri registi tedeschi del tempo era quello di prendere le distanze dal cinema nazista che aveva condizionato i decenni precedenti.
Parlando di «Heimat» il regista spiega che il progetto è partito quando ha iniziato a scrivere la storia della propria famiglia. Inizialmente doveva risolversi in tre parti da novanta minuti l’una, ma ne è uscita l’epopea di circa quindici ore come la conosciamo oggi, ambientata nell’immaginario e immaginifico villaggio di Schabbach; per questo lavoro il regista ha scelto un registro linguistico dialettale, utilizzando persone che lui conosceva personalmente e trasformandole nei personaggi che hanno animato il suo epico lavoro.
Heimat (episodio del giovane Herrmann)
di Edgar Reitz con Eva Maria Bayerwaltes, Helga Bender, Gabriele Blum. Germania 1984, 138’
Genere: storico-narrativo
Categoria di concorso: fuori concorso – lezioni di cinema
Valutazione: ****
Nono episodio della prima saga di «Heimat», racconta del giovane Herrmann e del suo amore per Klara, per la musica e per la letteratura. Girato a colori e in bianco/nero, l’episodio racconta della famiglia borghese di Herrmann nella quale Klara lavora come domestica e come impiegata dell’azienda di uno dei figli.
Film potente e carico di tensione erotica, è perfetto per dare un’idea dello stile di Reitz al pubblico del teatro Petruzzelli. L’Epopea di Reitz (che tra Heimat 1, 2, 3, e altri film, raggiunge le 58 ore di durata) vive di personaggi che si fanno portatori di storie personali che, riannodate tutte insieme, creano un immenso e variegato mosaico di vite; il gusto dell’equilibrio, del sottinteso e della sospensione del tempo va a braccetto con le divampanti passioni dei protagonisti.
Da vedere, rivedere e amare; una bellissima storia d’amore, contrastata, clandestina, raccontata nella cornice di un piccolo paese tedesco che assume una valenza pienamente universale.
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Povodyr – La guida
di Oles Sanin con Anton Greene, Stanislav Boklan, Oleksandr Kobzar, Jamala, Jeff Burrell. Ucraina 2014, 123’
Genere: drammatico, storico
Categoria di concorso: panorama internazionale
Nelle sale: prossimamente
Valutazione: ***
Dall’Ucraina arriva un film che parla del massacro dei “kobzari” da parte dei sovietici.
I kobzari sono musicisti cosacchi ciechi e uno di questi ha salvato Peter, il figlioletto undicenne di un americano che è stato in precedenza ucciso per alcuni documenti pericolosi per il regime.
Il film si avvale di un’ottima fotografia, ma dopo una scena iniziale assistiamo a un lunghissimo flashback che spiega la storia fino a quel momento, perdendosi un po’ troppo in alcune lungaggini tipiche del cinema “d’oltre cortina”. La polizia del regime va alla ricerca di Peter, dando la caccia anche al gruppo di kobzari rei di nasconderlo e, soprattutto, rei di cantare canzoni anti-sovietiche.
Pagina nera della storia dell’Ucraina, che sembra scritta soltanto pochi giorni fa.
Il regista, presente al Petruzzelli per la presentazione del film, spiega che le riprese sono iniziate prima del conflitto Russia-Ucraina e che ha avuto un enorme successo di incassi proprio perché è uscito nelle sale a cavallo dei tragici fatti che stanno coinvolgendo l’Ucraina: «il mio film vuole dire che si possono uccidere degli artisti, ma non si possono uccidere le loro idee»
È un’opera ben fatta, ma che non ha mai veri e propri acuti, che non ha slanci; lo spettatore assiste, abbastanza passivamente, attendendo una svolta che non arriva.
Ha certamente il merito di raccontare una pagina di storia altrimenti sconosciuta ed è tecnicamente ineccepibile, ma il materiale a disposizione poteva essere sfruttato meglio.
Magari, rivederlo fuori dal contesto del festival (dove la quantità di film visti ogni giorno può pesare su un film di questo tipo) può far cambiare idea.
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Le temps des aveux
di Régis Wargnier con Raphaël Personnaz, Phoeung Kompheak, Olivier Gourmet. Francia-Cambogia 2014, 94’
Genere: drammatico, biografico, storico
Categoria di concorso: panorama internazionale
Nelle sale: prossimamente
Valutazione: ***½
Tratto dal libro autobiografico di François Bizot, il film racconta della sua prigionia in Cambogia nel 1971 durante il periodo di espansione dei Khmer rossi.
Unico straniero a essere sopravvissuto ai Khmer rossi, Bizot è un etnologo che si trova in Cambogia per studiare la cultura dei templi e del buddismo.
Il lavoro di Wargnier, presente in sala per presentare il film, si concentra soprattutto sulla psicologia di François e del suo aguzzino, Duch, che alla fine della guerra sarebbe stato accusato per lo sterminio di quasi tredicimila persone.
Anche in questo caso si racconta una storia poco conosciuta, quella dell’evacuazione dell’ambasciata francese in Cambogia e della separazione di Bizot con la moglie.
L’unico difetto imputabile al film è che forse non rende bene l’idea della violenza fisica subita dal prigioniero, mentre dal punto di vista psicologico tra lui e l’aguzzino si crea un legame torbido, malato, che vede la condanna dei crimini da una parte e la riconoscenza per l’inaspettata liberazione dall’altra.
Da rivedere e approfondire.
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L’antiquaire
di François Margolin con Anna Sigalevitch, Michel Bouquet, François Berléand. Francia 2015, 93’
Genere: drammatico
Categoria di concorso: panorama internazionale
Nelle sale: prossimamente
Valutazione: ****
Una piacevolissima sorpresa che, rischiando di sbilanciarsi un po’, potrebbe essere il migliore film straniero tra quelli presentati nella categoria Panorama internazionale.
Non è un film potente e non ha nemmeno un impatto visivo tale da considerarlo un capolavoro, ma è un film che riesce a coniugare il registro drammatico con un tono da commedia amara che mette lo spettatore nelle condizioni di divertirsi e nel contempo interessarsi e partecipare.
È la storia di una donna, Esther, che ritrovando casualmente un quadro appartenuto al nonno, antiquario giustiziato dai nazisti, decide di indagare su che fine abbiano fatto le opere d’arte da lui possedute. Un po’ alla volta scoprirà cose sconcertanti sulla sua famiglia e sul passato di molti francesi degli anni dell’occupazione nazista.
La tregenda famigliare combacia coi fatti storici che hanno riguardato moltissime opere d’arte trafugate dai tedeschi durante la guerra. Seguendo un plot di finzione, il regista mette in scena la tragedia dell’occupazione nazista in Francia, denunciando tra le altre cose l’attuale situazione che vede davvero moltissime opere d’arte sparse tra musei e collezioni private, ma mai più restituite ai legittimi eredi.
Durante le ricerche la protagonista è continuamente ostacolata, seguita, pedinata e silenziosamente minacciata; senza mai perdere la calma (e la testa), riesce a risalire al destino toccato alle opere d’arte appartenute dal nonno, intrecciando la ricerca di esse alla ricerca di un rapporto col padre che invece vorrebbe dimenticare il passato.
In «L’antiquaire» ci sono la denuncia storica, le battute di spirito, il romanzo di formazione di un dramma famigliare, il rapporto di una figlia che si riavvicina al padre facendo luce su un passato oscuro. È un film completo, che in novanta minuti riesce a mettere lo spettatore nella condizione di interessarsi, arrabbiarsi, divertirsi, sorridere e, soprattutto, pensare anche quando i titoli di coda sono sfumati.
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Buoni a nulla
di Gianni Di Gregorio con Gianni Di Gregorio, Marco Marzocca, Valentina Lodovini. Italia 2014, 87’
Genere: commedia
Categoria di concorso: lungometraggi italiani
Nelle sale: già passato
Valutazione: ****
L’ultimo film di Di Gregorio è una di quelle commedie come se ne vorrebbero a decine in Italia. Il fatto che sia già passato nelle sale e non siamo riusciti a parlarne dà la misura della situazione che stiamo vivendo: semplicemente è stato distribuito in pochissime sale, non è stato promosso, non è stato spinto dall’industria della distribuzione.
E questo deve far riflettere su chi, o cosa, faccia sì che certi film siano o meno distribuiti nelle sale.
Commedia brillante, divertentissima, delicata, mai volgare, mai banale e, soprattutto, reale e realistica, «Buoni a nulla» è un film grazie al quale si sorride e si ride di gusto per un’ora e mezzo.
Gianni (il regista e attore che nei suoi film usa sempre il nome di battesimo) è prossimo alla pensione; l’ufficio per cui lavora gli rivela che dovrà lavorare altri tre anni in un ufficio di periferia.
Da questo spunto prende il via il plot narrativo che vede l’intreccio dei destini dei vari protagonisti, mettendo in scena una storia su coloro che non sanno mai dire di no e, a un certo punto, decidono di cominciare a reagire.
In barba alle varie commediole romantiche, alle scialbe imitazioni di commedie realizzate all’estero e agli italici film che riempiono le sale con cadenza settimanale, quella di Di Gregorio è un’opera-rivelazione, dove gli attori si divertono (e si vede!), dove le situazioni sono quotidiane senza essere banali, dove la comicità non è il frutto di qualche ribaltamento ma della normale vita di tutti i giorni.
VENERDÌ 27 MARZO
La vita cinematografica di Margarethe von Trotta inizia a sedici anni quando, in un circolo culturale americano aperto nel dopoguerra, ha modo di vedere un film per la prima volta nella sua vita: «I bambini ci guardano» di Vittorio De Sica.
Miglior battesimo non poteva esserci per la regista tedesca che decide di tenere la sua masterclass, coadiuvata dal critico Klaus Eder che si adegua nel faticoso quanto apprezzabile sforzo di assecondare la von Trotta nel parlare in lingua italiana.
La prima parte dell’incontro, come di consueto, si concentra soprattutto sul film proiettato al Petruzzelli, sulla scelta del cast e sul bisogno di raccontare quegli anni Settanta che anche nella Germania-Ovest hanno infuocato il dibattito politico. Sul cast aggiunge che lei si è sempre affidata ad attori-feticcio, in particolar modo l’attrice Barbara Sukowa, considerando anche che le donne sono quasi sempre il soggetto e le protagoniste dei film della tedesca.
Prima grande regista donna del cinema tedesco, non dimentica di tributare un ricordo alle donne che l’hanno preceduta senza però trovare il successo che è toccato a lei.
Considerandosi apolide la von Trotta ammette di trovarsi bene in qualsiasi luogo del mondo in cui si trovi, “negando” quel concetto di Heimat che invece caratterizza la cinematografia di Reitz, il regista protagonista del giorno precedente al Bif&st.
Dopo aver tratto enorme soddisfazione dall’ultimo «Hannah Arendt», la von Trotta ha escluso di avere in mente altri film, almeno per il momento.
Die Blaierne Zeit (Anni di piombo)
di Margarethe von Trotta con Margit Czenki, Carola Hembus, Rüdiger Vogler. Germania 1981, 104’
Genere: drammatico, storico
Categoria di concorso: fuori concorso – lezioni di cinema
Valutazione: ***½
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Kafka der bau
di Jochen Alexander Freydank con Alex Prahl, Kristina Klebe, Josef Hader, Devid Striesow. Germania 2014, 110’
Genere: distopico, surreale, grottesco, drammatico
Categoria di concorso: panorama internazionale
Nelle sale: prossimamente, speriamo
Valutazione: ****
Cosa c'è di più difficile del fare un film usando la poetica di Kafka? Fare un film usando la poetica di Kafka con originalità.
Già dalla difficoltà incontrata nel scegliere come incasellare il film alla voce “genere” si dà la misura di quante sfaccettature abbia il miglior film in assoluto di questa edizione del Bif&st.
Premettendo che va assolutamente rivisto e analizzato, per il momento limitiamoci a dire che questo film trasmette perfettamente la sensazione di ansietà, paranoia, pericolo e isolamento che vivono i protagonisti delle opere dello scrittore ceco.
Il regista Jochen Alexander Freydank, presente in sala per la presentazione, spiega come è nata la sua passione per Kafka, fin dall’adolescenza. Dieci sono gli anni serviti a realizzare questo gioiello di cinematografia, la cui tecnica non è certo meno della dimensione narrativa. Con alcune intuizioni incredibili, Freydank in un certo senso ha anticipato Iñárritu nell’uso del piano-sequenza dove le persone scompaiono senza tagli di montaggio.
Le inquadrature inclinate negano ogni nozione di simmetria, mortificano l’occhio, ci fanno entrare nella dimensione psicologica e onirica del protagonista
Un film splendido, anti-narrativo eppure denso di successioni temporali che si concedono anche alcune ellissi; il degradamento della mente del protagonista si accompagna a quello del mondo che lo circonda, vera e propria proiezione dell’io interiore. Se già abbiamo avuto alcune trasposizioni magnifiche delle opere letterarie di Kafka, Freydank riesce a trasporre nel suo film lo spirito che le anima, partendo dal racconto «La tana». Immaginifico, terrificante, con un sonoro che sembra essere un personaggio, con alcune riprese da videosorveglianza, una tecnica affinatissima e alcune scelte stilistiche davvero degne di nota: questi elementi, e altri ancora, fanno di questo film un qualcosa di originale, che si discosta da quanto visto quest’anno al Bif&st.
Quasi sicuramente Freydank non vincerà alcun premio, ma ha le carte in regola per stupirci tutti nell’immediato futuro.
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Verbotene Filme (I film proibiti. Il cinema nazista)
di Felix Moeller con Oskar Roehler, Moshe Zimmermann, Götz Aly, Jörg Jannings. Germania 2014, 94’
Genere: documentario
Categoria di concorso: fuori concorso – festival Fritz Lang
Valutazione: ***½
Spinosissimo documentario, difficile quanto interessante, «Verbotene filme» è presentato in sala dal regista stesso, che ha avuto accesso a un archivio dove vengono contenute le pellicole degli oltre duemila film realizzati durante gli anni del nazismo.
Alcuni di questi film sono ancora oggi vietati, oppure sono tabù oppure ancora sono trasmessi con censure e tagli.
Perché? È la domanda che si fa il regista, che non si limita a catalogare, mettere in fila e mostrare i film ancora oggi considerati di propaganda nazista; ma con una serie di interviste e di registrazioni ai vari dibattiti e cineforum, ci mostra come sia apertissimo il dibatto in Germania attorno alla questione.
Farli vedere o no? Trasmetterli in TV o solo in determinati e precisi contesti? È grazie a queste domande che emerge il problema del neo-nazismo, che si mettono a confronto i pareri di chi vorrebbe veder cancellati quei film e di chi invece vorrebbe che venissero trasmessi nelle scuole, proprio per insegnare ai giovani cosa è la propaganda e in quale modo subdolo essa agisce.
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Triangle
di Costanza Quatriglio con Mariella Fasanella. Italia 2014, 63’
Genere: documentario
Categoria di concorso: fuori concorso
Nelle sale: già passato a inizio 2015
Valutazione: ***
Documentario che mette a confronto l’incendio nella fabbrica «Triangle» avvenuto nel 1911 a New York e il crollo della palazzina a Barletta avvenuto nel 2011, dove sono morte alcune operaie tessili in un laboratorio abusivo.
Interessante il parallelismo tra le due tragedie che riguardano il mondo del lavoro. L’incidente newyorkese viene raccontato da alcune testimonianze fuori campo che accompagnano immagini di repertorio, mentre la narrazione dell’episodio barlettano è affidato alla voce e alla presenza di Mariella Fasanella, unica sopravvissuta al crollo.
SABATO 28 MARZO
Attesissimo fin da quando è stato annunciato il programma ufficiale del Festival, Nanni Moretti sale sul palco del Petruzzelli stipato in ogni ordine di posto, mentre all’esterno almeno cinquecento persone sono rimaste a bocca asciutta.
Dopo la calorosa accoglienza del pubblico, il regista parla della genesi del film proiettato in mattinata, «Caro diario», e di come sia nato quasi per caso girando alcune sequenze in giro per Roma durante le tranquille giornate d’agosto.
Momento clou è la lettura del vero diario tenuto in quei giorni del 1993 durante le riprese e la lavorazione del film; a seguire si è tenuta la consueta lezione di cinema, stavolta coadiuvata dal critico francese Jean Gili che chiacchiera in italiano con il regista.
Moretti parla per lo più di «Caro diario», di un capitolo che era stato pensato (e poi escluso) dove si racconta di un regista e di un critico che lo stronca, e del capitolo sulla malattia, raccontata in maniera ironica, semplice e “senza inventare nulla”.
La lezione continua con un passaggio su «Palombella rossa» («ho voluto raccontare la crisi della sinistra tramite un’improvvisa amnesia durante una partita di pallanuoto») e con la descrizione del lavoro di sceneggiatura, casuale fino a «Caro diario», sistematico e a più mani nei film successivi.
L’ultima giornata del Bif&st ha visto anche la conferenza stampa finale dove Laudadio e Scola, insieme ai rappresentanti istituzionali, hanno espresso la soddisfazione sui numeri raggiunti quest’anno e hanno annunciato il programma del 2016 (2-9 aprile) che avrà come protagonista principale un’ampia retrospettiva su Marcello Mastroianni , con oltre cinquanta film che lo vedono protagonista.
Annunciati anche i premi (consegnati poi in serata) del Festival, tra cui segnaliamo:
-Premio Internazionale al miglior regista: Louis-Julien Petit per il suo film «Discount»;
-Premio Mario Monicelli per il miglior regista a Francesco Munzi per «Anime nere»;
-Premio Anna Magnani per la migliore attrice protagonista a Alba Rohrwacher per «Hungry hearts» di Saverio Costanzo;
-Premio Vittorio Gassman per il miglior attore protagonista a Elio Germano per «Il giovane favoloso» di Mario Martone.
Da segnalare numerosi premi tecnici a «Torneranno i prati» di Ermanno Olmi.
Caro diario
di Nanni Moretti con Nanni Moretti, Giovanna Bozzolo, Sebastiano Nardone. Italia-Francia 1993, 104’
Genere: commedia
Categoria di concorso: fuori concorso – lezioni di cinema
Valutazione: ****
Racconto per capitoli, parecchio autobiografico e raccontato sotto forma di diario, dove il regista inizialmente vaga per una Roma estiva e deserta, finendo sul luogo in cui Pasolini fu assassinato, per poi passare successivamente a un viaggio sulle isole Eolie e Lipari nel tentativo di lavorare al proprio film.
Situazioni spiritose, momenti di riflessione e slanci di umano realismo caratterizzano anche il terzo capitolo, quello sull’odissea vissuta a causa di tanti e diversi medici, prima della diagnosi del morbo di Hodgkin. Spiritoso, ironico, semplice e mai ricattatorio, «Caro diario» è il film che segna la definitiva maturità del regista.
Nicola ‘nimi’ Cargnoni
Nelle foto: Nanni Moretti, la conferenza stampa finale, la platea del Petruzzelli