... Tuttavia, forse perché la distruzione e il dolore che vengono con la guerra sono difficili da dimenticare, l’eco della Seconda guerra mondiale ancora perdura nella nostra cultura e nella nostra memoria.
La memoria ci può salvare, ma, col passare del tempo, essa diventa sempre più debole, indifesa, fragile. Presta facilmente il fianco ai suoi nemici giurati, innanzi tutto il potere, che non solo non la ama ma, quando essa è particolarmente pericolosa per lui, cerca in tutti i modi di eliminarla, di nullificare il suo effetto.
Parliamo di violenza, di guerra, e
il pensiero va ai migliaia di missili che sono piovuti negli scorsi giorni su Israele.
Se ne sono contati più di quattromila e sono tutti partiti dalla striscia di Gaza.
Mi domando quanto denaro occorra per comprare tutti quei missili, e come faccia una popolazione così povera come quella palestinese a spendere tanti denari per acquistare strumenti di guerra.
Si dirà: i palestinesi non pagano quelle armi, gli vengono regalate dalle nazioni nemiche di Israele.
Anche se così fosse, rimane il fatto che i palestinesi pagano un prezzo elevatissimo per quei missili, basta contare le centinaia di vittime causate dalla risposta militare israeliana.
In ogni caso, dove alligna la povertà c’è sempre maggiore debolezza rispetto alle volontà degli uomini di potere, ed è proprio sulla pelle dei deboli e dei poveri che si costruiscono le strutture di comando più radicali, più violente.
È il caso del popolo palestinese, poverissimo, dilaniato da decenni di sanguinose lotte interne tra fazioni, le quali pur di vincere gli avversari interni ed esterni, comprano e usano armi micidiali sacrificando senza tanti scrupoli le vite di chi li circonda solo per mantenere quel potere a cui non riescono e non vogliono rinunciare.
Dalla parte opposta di quel cielo infiorato di missili, in Israele, ci sono i ricchi e c’è una democrazia. Qualcuno dice sia l’ultimo avamposto dell’Occidente.
Israele è un paese circondato da nemici assetati di vendetta, che vive quotidianamente nell’attesa angosciante del prossimo attacco militare. È un paese che ha fatto della ricerca in campo militare uno dei settori di sviluppo più importanti al mondo, sia per l’economia che, soprattutto, per la difesa.
È una nazione militarizzata e nonostante sia una democrazia, nonostante sia un paese ricco, vive costantemente nella paura.
Essere odiati e temuti, può portare onore e gloria, ma alla lunga la paura non genera benessere per la comunità.
Vivere con la preoccupazione di vedere la propria casa distrutta o la propria famiglia uccisa da un missile sfuggito alle batterie di difesa, crea malessere generalizzato che spesso evoca il desiderio di distruggere definitivamente la fonte del pericolo.
È proprio su questo sentimento di paura del pericolo proveniente dall’esterno, sul continuo martellamento mediatico che lo alimenta, che si fonda un certo potere interno al paese.
Paradossalmente, possiamo effettivamente individuare sottotraccia un legame tra il desiderio di vendetta degli arabi, i loro attacchi tramite gruppi armati palestinesi, e il potere al comando in Israele.
È come se i primi avessero generato e tuttora alimentassero, in qualche modo, con le loro azioni ciò che accade nella vita politica e sociale dell’altro, in un circuito di rinforzo reciproco che funziona malgrado le volontà delle forze in campo.
Più aumenta il desiderio di vendetta degli arabi, più aumentano gli attacchi con i missili, più dall’altra parte in Israele si rinforzano quei gruppi che vedono nella guerra l’unica via di sopravvivenza del paese.
Si può facilmente notare che in occasione di ogni crisi militare che periodicamente accade in quell’area, avviene un fenomeno di polarizzazione e di successivo consolidamento dei partiti politici radicali di riferimento di entrambe la parti: da un lato Hamas prende sempre più il sopravvento tra i palestinesi, mettendo pericolosamente in ombra il partito di Abu Mazen supportato dagli occidentali, dall’altro in Israele la destra rinforza anno dopo anno le sue posizioni nella società e in Parlamento.
Se pensiamo alla crisi politica israeliana, che ultimamente impedisce a quel paese di avere un governo stabile, possiamo facilmente fare una previsione: i missili di Hamas riusciranno ad unire ciò che la democrazia israeliana non è riuscita a mettere insieme con le elezioni.
La violenza, come dicevamo, ha il potere di polarizzare gli estremi, produce una destabilizzazione iniziale, ma successivamente genera un’onda forte di stabilizzazione del potere costituito.
Guarda caso, all’accadere di ogni crisi si “
consolidano” i gruppi di partiti al potere, i quali possiamo affermare conoscono bene l’arte utile della guerra inutile.
Il partito conservatore israeliano, il Likud - parola che in ebraico vuol dire “
consolidamento”-, deve dunque molto ai suoi nemici.
Negli ultimi anni, i palestinesi di Hamas hanno dato un vigoroso aiuto al “
consolidamento” del potere del Likud, facendogli addirittura superare la profonda crisi in cui era caduto dopo le elezioni del 1999, quando aveva perso circa la metà dei consensi, passando di colpo da 34 a 19 seggi dei 120 disponibili nella Knesset, la camera unica del Parlamento israeliano.
Specularmente, se guardiamo al campo palestinese, possiamo dire che anche Hamas negli ultimi anni ha avuto i suoi vantaggi. Ha aumentato enormemente i consensi interni, da un lato facendo appello alla inesauribile leggenda della sofferenza del suo popolo, dall’altro sfruttando le secolari frustrazioni di tutto il mondo arabo. Ovviamente, consenso significa denaro e armi.
Tuttavia, si è già detto, il prezzo da pagare è elevatissimo anche se non è certamente una preoccupazione dei partiti al potere visto l’ampio vantaggio che ne traggono.
La via migliore per spezzare questo perverso circuito di rinforzo reciproco, non è quindi quella dell’uso della violenza delle armi, che provoca sempre centinaia di vittime e aiuta i fautori della guerra e della violenza, ma controintuitivamente è quella del rinforzo reciproco dei movimenti che all’interno dei due popoli vogliono veramente la pace.
Questa via moderata è stata già tentata in passato senza successo perché ha contro numerosi e potenti nemici, non solo tra i palestinesi.
La pace non sarà mai possibile se prima non saranno “vinti” tutti questi numerosi e potenti nemici, non ultimi quelli che si muovono nello scenario internazionale della nuova guerra fredda.
Vinti dalla persuasione che la guerra è inutile per risolvere controversie quando la vittoria definitiva è impossibile: meglio la concretezza di un compromesso attuabile che lasciare il campo a chi è maestro nell’arte utile della guerra inutile.
Leretico