Povertà educativa e cultura della violenza
di Giuseppe Maiolo

La violenza sulle donne da parte dei maschi è purtroppo una realtà quanto mai ricorrente, ma le riflessioni sul maschilismo che la alimenta continuano ad incontrare inaccettabili resistenze


Lo ha ricordato Michela Marzano a proposito dei fatti gravi avvenuti nella notte di capodanno a Milano ai danni di una decina di ragazze. “È come se in tanti – scrive - avessero paura che la condanna di queste aggressioni commesse da giovani di origini nord-africane possa essere strumentalizzata in chiave razzista.” (la Repubblica 9.01.2022).

Una sottolineatura importante sul silenzio dei commenti nei media e per evitare di far passare l’idea che la violenza sulle donne sia fenomeno quasi esclusivo di contesti sociali e culturali distanti dal nostro. Un silenzio di comodo e utile ad alleviare il carico della nostra coscienza. Ma anche uno di quei meccanismi di difesa psicologica di cui siamo dotati, che ci portano a mettere “il mostro in prima pagina” così da proiettare altrove le nostre parti “ombra”.

Eppure, sappiamo bene che la cultura della sopraffazione non ci è estranea ma, come uomini, ci serve per assolverci dalle responsabilità individuali e collettive.

A noi maschi, invece, spetta il compito di interrogarci sul perché e dove si nasconde quel maschile tossico e violento che ci abita senza che ne siamo consapevoli. A tutti gli uomini è fatto obbligo di ricercare le radici della violenza che, come ripetutamente ci mostra la cronaca, spesso si esprime in azioni di gruppo. Gruppo che abbiamo preso a chiamare “branco” per sottolineare l’aspetto animale del comportamento prevaricatore, ancora presente nel nostro cervello rettile.

Riconoscerlo non giustifica in nessun modo la violenza sulle donne ma, come dice Silvia Bonino, professore emerito di psicologia dello sviluppo e dell’educazione, ci serve per capire che i maschi hanno a che fare con una “eredità filogenetica” che comprende ancora la struttura arcaica che una volta regolava la sessualità dominante del maschio e la sottomissione della femmina.

In altre parole questa consapevolezza ci serve per capire che la relazione fondata sul rapporto predatore/preda continua ad essere presente come modello mentale e molto probabilmente costituisce la base su cui poggia il maschilismo. Modello che può essere rivisto unicamente con l’educazione, ovvero con un processo di sviluppo guidato ed equilibrato del maschile che permetta ai maschi, a prescindere dalla cultura di riferimento, di diventare uomini in grado di governare le proprie pulsioni e maschi capaci di relazioni rispettose con le femmine.

Vale la pena che in ogni situazione di violenza sulle donne ci si chieda quale sia stato il processo educativo dell’abusante, perché ciascuno di noi è figlio dell’educazione ricevuta. Nel caso del branco di Capodanno, peraltro composto da cittadini italiani anche se di origini straniere cresciuti nelle periferie delle nostre metropoli, è necessario domandarsi, senza peraltro fare sconti di responsabilità, quanto possano essere ragazzi con un’educazione inadeguata che non hanno trovato chi li aiutasse a coltivare una concezione diversa del rapporto uomo-donna e siano rimasti ancorati alla cultura del sopruso e del dominio.

Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
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