Le parole di odio in rete. Una forma di violenza da conoscere e arginare
di Giuseppe Maiolo

"Vai a lavorare cretino!" e "Sei un escremento di rinoceronte" sono solo alcuni dei messaggi offensivi che il professor Roberto Burioni, virologo di fama, ha ricevuto nelle settimane scorse sui social


Da un po’ di tempo nel mirino degli haters, gli odiatori, il noto medico che dedica attenzione alla divulgazione scientifica, ha poi sorpreso tutti dicendo “Non li denunciamo ma li sputtaniamo”. Cosa che ha suscitato reazioni e giudizi contrapposti.

Vista la notorietà del personaggio, pensi che Burioni, esacerbato dalle continue offese pubbliche, abbia perso la pazienza e reagito con la stessa modalità degli odiatori. Una reazione comprensibile, ma serve una riflessione sul fenomeno dell’odio online che aumenta di dimensioni e influenza gli atteggiamenti e il modo pensare di tutti.

È necessario comprendere il fenomeno dell’odio che circola in rete e chiederci cosa serve per contrastare questa forma di violenza.

“Parole o-stili”, la nota Associazione che da anni si spende per responsabilizzare gli utenti della Rete a comunicare in maniera non violenta, ha messo in evidenza più volte quanto siano gravi le conseguenze delle parole di odio online.

Le offese e le minacce verbali in Internet sono ormai una pratica diffusa tra i ragazzi e costituiscono la variante violenta e mortifera del bullismo. Non va dimenticato quello che scrisse la prima vittima italiana di cyberbullismo, Carolina Picchio, che prima di suicidarsi a 13 anni, disse in modo lapidario “Le parole fanno più male delle botte”.

Ora le violenze verbali, espresse sempre di più anche dagli adulti, riempiono i social e rendono il bullismo virtuale un fenomeno nuovo. Contrariamente a quello che molti pensano quando dicono che il bullismo tradizionale e il cyberbullismo si equivalgono, dobbiamo invece riconoscere che quest’ultimo è profondamente diverso e molto più dannoso.

Dal primo, anche se a fatica, ci si poteva difendere, dal secondo sembra difficile proteggersi perché quello virtuale non concede scampo, è pervasivo, ferisce e uccide la vittima che si sente isolata e non trova protezione alcuna né solidarietà.

L’odio online è particolare perché non ha misura e chi utilizza le parole ingiuriose ha come la sensazione di non offendere né colpire. La distanza fisica impedisce al bullo di cogliere la sofferenza della vittima e leggere sul suo volto il dolore che prova. Il persecutore poi sente come un suo diritto quello di poter dire apertamente ciò che pensa e utilizza la rete per acquisire visibilità e popolarità.

Diversamente dal bullismo tradizionale in cui le azioni persecutorie restavano nascoste e sotterranee, in quello virtuale il bullo è spavaldamente interessato a rendere note le sue imprese. Le firma! Molti bulli che incontro oggi nelle scuole, in effetti non mostrano sentimenti di colpa per ciò che hanno fatto, anzi ne vanno fieri. Non percepiscono la gravità delle azioni perché non sanno che ciò che è virtuale è anche reale.

Poi nel bullismo virtuale vi è una specificità: l’alternanza dei ruoli. L’aggressore, di solito non solo è portatore di una sua sofferenza e offende perché è stato offeso, ma a sua volta può diventare egli stesso vittima in quanto l’aggredito, per difendersi da solo, trova facile in rete trasformarsi in carnefice e colpire. E questo non fa che alimentare il flusso continuo della violenza.

Giuseppe Maiolo
Docente di Psicologia delle età della vita
Università di Trento