Senza retorica o nostalgie
di Giuseppe Biati

Pubblichiamo una riflessione sulla giornata del 25 aprile da parte del prof. Giuseppe Biati, Presidente del Centro Studi La Brigata Giacomo Perlasca delle Fiamme Verdi e la Resistenza Bresciana


Il 25 Aprile è dal 1946 la giornata in cui si ricorda la liberazione d’Italia dal governo fascista e dall’occupazione nazista del Paese.
È conosciuta anche come anniversario della Resistenza, una festività che commemora il valore dei partigiani di ogni formazione politica che, a partire dal 1943, contribuirono alla Liberazione.

Parlare di Resistenza oggi non è questione di nostalgie, né di combattere sulla carta della retorica le battaglie di 76 e più anni fa. È questione di capire dove possiamo andare a cercare oggi quella speranza, quel futuro, quel domani e con quali strumenti e con quali simboli.

Scriveva il grande Piero Calamandrei:
«Gli Italiani ancora non lo sanno: anche coloro che ne fecero parte non sanno a pieno quanta ne fu l’estensione e la grandezza. Ma specialmente i giovani e i ragazzi che vengono su ora, ignorano tutto sulla RESISTENZA.
A scuola imparano chi fu Muzio Scevola e Orazio Coclite, ma non sanno chi furono i sette fratelli Cervi.
Non sanno chi fu quel giovinetto della Lunigiana che, crocefisso su una porta perché non voleva rivelare i nomi dei partigiani, rispose ai fascisti che lo uccidevano: “Li conoscerete quando verranno a vendicarmi!”
Non sanno chi fu quel contadino che, vedendo dal suo campo i tedeschi che si preparavano a fucilare un gruppo di partigiani trovati nascosti in un fienile, lasciò la vanga tra le zolle e si fece avanti dicendo: “Sono io che li ho nascosti (e non era vero); fucilate me che sono vecchio e lasciate la vita a questi ragazzi”.
Non sanno come si chiama colui che in prigionia, temendo di non resistere alle torture, si tagliò con una lametta le corde vocali per non parlare.
Non sanno come si chiamava quel ragazzino che, condotto alla fucilazione, si rivolse ad uno dei soldati tedeschi che stavano per ucciderlo e lo baciò con un sorriso fraterno dicendogli: “Muoio per te; viva la Germania libera!”».

Tutto questo a scuola non si impara!

Lazzero scriveva:

“Noi tutti abbiamo notato che la gente – in particolare i giovani – guardano i vecchietti che si batterono in città, in montagna o nei lager come residui di un ‘carnevale incomprensibile’!”
Ciò non può essere!

C’è un legame di valori da collegare in maniera inscindibile e che credo sia, al di là delle tante parole, la sintesi propostaci dalla ricorrenza di oggi: Resistenza – Costituzione – Democrazia.
Se sorge spontanea la domanda: Cos’è la democrazia nell’odierno? Altrettanto semplice deve essere la risposta: lettura e attuazione della Costituzione!

E da dove viene la Costituzione? Dai luoghi della Resistenza!
Dalla Resistenza nasce la Costituzione, dalla Costituzione nasce la Democrazia.
È l’attuazione piena della Costituzione il discrimine per una democrazia compiuta; il rispetto di queste ‘regole’ rappresenta la prima garanzia di indipendenza e di libertà.
Molti gli sforzi nel tempo, tanti con successo, diversi con forze disturbanti.

Per meglio comprendere l’attuale critico momento e in analogia con la sua complessità, Giovanni Moro, il figlio del grande statista, analizza gli anni Settanta del secolo scorso come un paradigma di elaborazione democratica e nello stesso tempo porta ad evidenza distoglienti tentativi dall’obiettivo realizzativo della Costituzione.

«È stato il decennio della partecipazione civile e delle riforme, ma anche quello delle vittime e dei carnefici. Oltre il silenzio e la nostalgia, l’esito di quegli anni è alla radice di un male italiano: la nostra condizione di democrazia in condominio tra partiti senza fiducia e cittadini senza rilevanza».

Parole che fanno riflettere e che invitano ciascuno di noi non solo al dovere di apportare il proprio contributo al benessere collettivo con il proprio agire personale, ma soprattutto alla doverosità di una formazione etico-culturale-sociale attraverso lo studio.

Prioritario, oggi, è studiare la “storia”, sondare la “verità della storia”, togliere i miti e frantumare i luoghi comuni; essenziale è cogliere la sostanza e il valore su cui si fondano i princìpi e le regole fondanti una Repubblica democratica.
Questo, soprattutto nel nostro presente, dove i fascisti son tornati in scena, a gran richiesta degli Italiani immemori.

Perché la Resistenza non sia l’ultima parte del libro di storia (storia della vita intendesi) che non va a compimento, urge una sua maggiore comprensione (contro la volontà diffusa di incomprensione), una valida memoria (contro l’‘immemoria’, cioè quel processo degenerativo della mente che ha colto gli Italiani già dopo pochi anni dalla seconda guerra mondiale e che si acuisce nei momenti elettorali), una profonda capacità di riproporre, attualizzandoli, valori e ideali, sapendo che il fascismo è camaleontico, di facile presa sulla pancia laddove la mente, per convenienza, ha abdicato alle sue funzioni.

Cosa fu la Resistenza di allora se non ribellione ai conformismi, alle ingiustizie, alle privazioni delle libertà, al fascismo, per costruire la comunità degli uomini, l’etica della responsabilità, il senso della giustizia sociale, il valore dell’educazione e della formazione dei giovani, la difesa del territorio, il diritto alla salute, all’abitazione, al lavoro!

Lo scriveva, a modo suo ma in maniera eccezionalmente esimia, il giovane partigiano Bortolo Fioletti (Poldo, trucidato a Monno il primo aprile 1945) nelle sue ultime righe (ultime a sua insaputa):
Cara Mamma, non piangere per me.
Perdonami e pensa se io fossi stato tra coloro che martirizzano la nostra gente (…). Presto verremo giù, e vedrai che uomini giusti saremo. Allora si vivrà con la soddisfazione di vivere e non con l’egoismo di oggi».


Ma lo scriveva più tardi, nel 1995, quasi ottantenne
, padre Bonifacio (don Lorenzo Salice, da prete diocesano), un nostro concittadino valligiano, costantemente da noi ricordato come parroco e partigiano prima di essere monaco e pittore.
Era un coraggiosissimo e rivoluzionario appello il suo, una commovente ed ardita lettera al partigiano Gepi (che aveva nascosto per diversi mesi nella canonica di Odeno).

Questi i termini:
«…io sono sempre il tuo amico don Lorenzo… dopo 50 anni sono sempre più convinto che dobbiamo riprendere le armi per continuare la Resistenza, contro tutti i nemici della vera Libertà; dobbiamo riprendere le armi contro tutte le ingiustizie sociali… le armi che dobbiamo impugnare ora sono le armi della Luce che viene dal Vangelo…
Sulla vita di tanti Eroi caduti per la Libertà dobbiamo continuare la nostra Resistenza…
E ora mi rivolgo a te, carissimo Gepi, ribelle per amore; tu sei vissuto parecchi giorni nella mia casa di Odeno, casa povera ma sempre aperta ai “Ribelli”, come li chiamavano i miei montanari.
Dichiara apertamente che anche la Resistenza di Don Lorenzo continua ancora…».


La straordinaria testimonianza
ribellistica” di padre Bonifacio ci porta ad un’ulteriore considerazione.
I giovani d’oggi sono una generazione che ha solo un’esperienza indiretta dell’oscurità causata dall’oppressione nazi-fascista, ma verso di loro si ha l’importante compito pedagogico di far ricordare e trasmettere il significato di quei primigeni e fondanti valori umani ed etico-sociali, raccontando le vivide storie e le eccezionali esperienze di tutti coloro che hanno dedicato la loro esistenza alla difesa della libertà.

(Giuseppe Biati, Presidente del Centro Studi La Brigata Giacomo Perlasca delle Fiamme Verdi e la Resistenza Bresciana)