La vergine giurata
di Nicola 'nimi' Cargnoni

La «Vergine giurata» di Laura Bispuri è l’ottimo esordio della giovane regista. Paesaggi e silenzi si alternano in un meraviglioso affresco che ha, al centro, un personaggio enigmatico e nuovo per il nostro cinema


Hana è una ragazza che nasce e cresce in un villaggio dell’Albania, rimane orfana e viene adottata da un’altra famiglia. Stringe amicizia con Lila, la figlia della coppia che la adotta, e le due crescono insieme, seguendo due diverse strade: Lila scappa da un matrimonio combinato e Hana compie il voto di diventare “vergine giurata”, ovvero di rinunciare a ogni modello di femminilità e di non concedersi a nessuna forma di amore sentimentale o carnale, seguendo i canoni della cultura arcaica in cui è cresciuta, soprattutto il Kanun, un codice sociale che vige tra i montanari di quelle regioni, che in mancanza di figli maschi possono spingere una donna ad autoproclamarsi uomo.

Hana subisce una lenta metamorfosi, diventando Mark e assumendo gli atteggiamenti e le sembianze maschili, anche grazie all’ennesima interpretazione a pieni voti di Alba Rohrwacher, perfetta per questo tipo di ruoli.
Mark decide di raggiungere Lila in Italia, dopo tanti anni che le due non si vedono.
L’inizio della narrazione filmica è proprio questo ricongiungimento, a cui seguono diversi flashback che spiegano quanto successo in passato.

Il perché Mark decida di raggiungere la vecchia amica non è chiaro e non è spiegato, ma poco importa.
Ciò che interessa davvero è come Mark vive il riavvicinamento con l’amica Lila e con la figlia di questa, Jonida, una ragazzina che inizialmente rifiuta la presenza di Mark/Hana, ma che lentamente instaura un rapporto che aiuta le due ad aiutarsi reciprocamente nel percorso di crescita: la maturazione per Jonida e la riscoperta della libertà per Hana.

La ritrovata libertà coincide, infatti, con la riscoperta della femminilità da parte di Hana, grazie a una regia attenta con cui Laura Bispuri impone una propria identità, pagando comunque il doveroso tributo con un intreccio di stili che, uniti fra loro, raggiungono un ottimo equilibrio.
Il pedinamento dei personaggi con la camera a mano richiama lo stile del film-verità tanto caro ai fratelli Dardenne, mentre il buon vecchio Jean Vigo torna a farsi vivo nella carnalità e nell’attenzione alla fisicità degli attori, nonché nelle splendide immagini subacquee; ma anche il più recente Steve McQueen («Hunger» e «Shame») è presente nella schiena martoriata di Hana, nella sua mortificazione sessuale, nella sua continua ricerca di identità.

Quello della Bispuri non è un film che si sofferma soltanto sulla ricerca dell’identità di genere,
ma si pone come obbiettivo la ricerca della femminilità vista da più punti di vista: quello di Lila, l’albanese emancipata che fugge di casa, quello di Mark/Hana che trova lo stimolo a ritrovare sé stessa grazie al contatto con una situazione sociale che non mortifica la sua essenza e quello di Jonida, l’adolescente ruvida e apparentemente superficiale, ma che ha votato la sua vita allo sport, nella faticosa disciplina del nuoto sincronizzato di coppia.

Infatti una delle sequenze più spettacolari e più intense, per la tecnica registica e per il pathos, è proprio quella in cui Jonida si allena con la sua compagna di squadra.
Le immagini subacquee richiamano quella stessa immersione che Hana ha dovuto compiere prima nella cultura montanara, arcaica e albanese, e poi in quella urbana e italiana: il film spiega senza essere didascalico.
L’opera prima della Bispuri è approdata al Festival di Berlino, non senza meriti: è una storia forte, intensa, moralmente violenta, ma raccontata in maniera delicata.

L’androgina Rohrwacher è perfetta nel ruolo della donna-uomo, soprattutto nel far emergere i tratti psicologici di un personaggio le cui scelte richiedono una certa dose di coraggio.
In questo è aiutata da una sceneggiatura che prevede pochissimi dialoghi, per lo più in albanese, mentre quelli in italiano si risolvono per lo più negli scontri verbali con Lila e Jonida, che faticano oggettivamente ad approcciarsi ad Hana.
La Rohrwacher è brava a privare il proprio personaggio di una sensualità che è mortificata, ma latente e pronta a emergere.

Splendidi i panorami montani del villaggio albanese, con una fotografia che fa sfoggio di colori pastello e di tonalità grigioverdi che sembrano ricalcare l’animo dei protagonisti, risaltando ancora di più la contrapposizione con il paesaggio urbano (quasi sempre notturno) e con la luminosità della grande piscina dove Jonida si allena.

«Vergine giurata» segna un altro importante esordio, inserendosi sul solco di quel cinema italiano d’autore che negli ultimi anni ha puntato molto sulla forma scarna dei dialoghi, sull’importanza del contesto naturale/urbano in cui si inseriscono i protagonisti e su tecniche registiche che citano i grandi maestri (passati e recenti), ma che mantengono una propria, forte personalità.
Giusto per fare qualche esempio, possiamo accostare «Vergine giurata» a film come «Più buio di mezzanotte» e «Corpo celeste» senza il timore di esagerare.

Il futuro del cinema italiano sembra essere in buone mani.

Valutazione: ***½. 

Nicola ‘nimi’ Cargnoni

In uscita giovedì 09 aprile (da segnalare): White god.
Già nelle sale (da segnalare): Wild, Lettere di uno sconosciuto, L’ultimo lupo, Chi è senza colpa, Una nuova amica, Vergine giurata.

Per conoscere la programmazione della provincia:
1.    Andare su http://www.mymovies.it/cinema/brescia/
2.    Appare la lista dei film presenti in città e provincia.
3.    Per ogni film è segnalato il paese o il cinema in cui lo si può trovare.