«La teoria del tutto»
di Nicola nimi Cargnoni

A poche settimane di distanza dal film su Alan Turing, arriva nelle sale italiane il bio-pic su un altro grande scienziato

 
Può un film biografico avere un protagonista diverso da quello di cui dovrebbe narrare la vita? Sì, o almeno questo succede in «La teoria del tutto» dove, comunque, la centralità di  Stephen Hawking non è messa in discussione, ma (anzi) è esaltata e coadiuvata dalla fortissima presenza della figura della moglie Jane, alla quale per altro è dovuto il merito per il plot di partenza, che infatti prende spunto dal suo libro «Verso l'infinito» (Travelling to Infinity: my life with Stephen). 
 
«Ne ha fatta di strada lo scalpellino di “I pilastri della terra”» verrebbe da dire, parlando di Eddie Redmayne e della sua mostruosa interpretazione: bravissimo nell’incarnare il declino fisico di Hawking, tuttavia non viene meno nel compito di risaltare la figura dello scienziato, col suo sguardo pacato, dolce e intensamente intelligente, che lascia emergere (in tutta la sua virulenza) il piglio ironico e sbarazzino del genio britannico.
Non è da meno la felicissima interpretazione di Felicity Jones, nei panni della moglie Jane: di una bellezza incerta, non appariscente, elegante quanto basta, la Jones riesce a portare a termine il ritratto di una donna sorprendentemente forte, capace di prendersi sulle spalle il fardello della malattia del marito e di credere in lui fin da subito.
 
È infatti sulla magistrale doppia interpretazione dei protagonisti che si basa tutto l’impianto filmico, altrimenti carente in fase di sceneggiatura.
Se il perfetto equilibrio tra ritratto scientifico, avvenimenti storici e vicende personali è stato il pregio principale di «The imitation game», lo stesso non si può dire del film su Stephen Hawking, dove il regista James Marsh dà fin troppo spazio ai risvolti melodrammatici della vita dello scienziato, togliendone a una maggiore cura dell’elemento geniale, là dove l’aspetto scientifico è per altro indicizzato in via piuttosto didascalica. Del resto la scelta di rivolgersi al grande pubblico ha avuto il suo peso.
 
L’attacco è efficace e superbo: la prima parte si avvia bene, è scattante, intensa e accattivante. Successivamente il film “si siede”, dando però notevole spazio all’evoluzione dei personaggi; i tratti psicologici si delineano, ne esce così un romanzo di formazione che pone lo spettatore davanti a cambiamenti sottolineati anche da alcuni salti temporali piuttosto ampî. La tematica che sta più a cuore a Hawking è infatti il tempo, e lo spettatore riesce a percepirne l’inesorabile trascorrere.
 
Ma il tempo non è solo tiranno: al College di Cambridge Hawking ha accusato i primi sintomi di atrofia muscolare progressiva. Allo scienziato sono stati dati soltanto due anni di vita, ma è questo il vero inizio della sua vita: l’attaccamento a essa lo porta ad accelerare i suoi studi.
 
Si può ben parlare di un film a tratti emozionante, ricco di dialoghi interessanti pur non risultando troppo verboso. È interessante l’ottica con cui il regista “filtra” la storia, ponendo la moglie Jane come tramite tra il filo narrativo e lo spettatore.
La sensazione di assistere a un “punto di vista altro” è uno dei punti-forza del film; tanto è vero che spesso Jane viene inquadrata in solitudine, nella sua lenta metamorfosi e nella sua presa di consapevolezza. Assistiamo alla sua felicità e ai suoi turbamenti, mentre raramente Hawking ci viene mostrato in solitudine. 
 
L’enorme merito di Marsh, dunque, è quello di realizzare un film su uno dei più grandi scienziati del XX secolo, eleggendo però la moglie a reale protagonista; tuttavia rispetta chiaramente il testo di partenza, che è in effetti opera di Jane Wilde Hawking. Ma a fronte di questo merito, occorre ammettere che ne esce un film a tratti ruffiano, che fa presa sulla facile emotività dello spettatore colpito dalla fragilità e dalla condizione fisica di Hawking. Il contesto storico non è ben definito, l’azione scientifica viene rappresentata in maniera troppo frammentaria. 
 
Regia tutto sommato interessante, fotografia ben confezionata, musiche a volte un po’ troppo invadenti, interpretazioni straordinarie e (per chi è interessato al gossip che ruota attorno al premio più industriale del cinema) in odore di Oscar.
Un film che comunque merita di essere visto, ma che potrà piacere particolarmente agli amanti del melodramma e a chi ha la lacrima a portata di mano: *** su 5.
 
 
 
In uscita giovedì 22 (da segnalare): Mateo, Piccoli così, Still Alice.
Usciti giovedì 15 (da segnalare): Hungry hearts, La teoria del tutto.
Già nelle sale (da segnalare): Neve, Pride, Mommy, Melbourne, Viviane, Jimmy’s hall, Gone girl, St. Vincent, American sniper, The imitation game.