Auguri... di testa
di Dru

Ho sempre respinto gli auguri come molesti, anche quando non capivo cosa realmente significassero. Mi molestano sia quelli che mi vengono rivolti - anche se capisco che è l'augurio una forma di gentilezza - sia quelli che faccio. E vi spiego il perchè


L'augurio è, nella sua forma astratta (nella sua dimensione ridotta del senso comune), un modo di bene auspicio: si fanno gli auguri per destinare colui che li riceve alla felicità, sia questa felicità qualcosa che già si possiede, e allora l'augurio è quello di non perderla, sia che l'augurio apparecchi il terreno per la sua conquista.
Felicità che, se non eterna, ormai forma temporale fuori moda, almeno resista per i tanti anni quanti sono il resto della vita che manca per il nulla.

Ma nella forma concreta l'augurio significa proprio ciò che implicitamente le mie parole dicono del senso astratto di esso.
L'augurio è sempre rivolto all'anima mortale del senso a cui l'uomo dà di sé stesso.

L'uomo è fin tanto che è, poi diventa nulla.
L'augurio è che l'uomo, quell'uomo specifico che in questo caso rappresenta la specifica forma del concreto "esser uomo", fin tanto che è sia anche felice, perché la felicità è nuovamente qualcosa da conquistare, come da conquistare è, per l'uomo, il suo essere, dato che in ogni momento, ogni attimo di sé, è, ma può anche non essere.

A questo punto mi sovviene il perché del senso di soffocamento che ricevo ad ogni augurio, è quello che deriva da quel senso del mortale, una resistenza che si spinge all'infinito, poiché dall'augurio di essere felice, che intenderebbe fondare l'"essere felice" si giunge all'augurio di "essere uomo", in quanto senza, sia l'uomo che la felicità possono si essere, ma possono anche non essere, mortalmente appunto.

Ma se ogni essente non potesse essere altro da sé?
Forse smetteremmo di farci gli auguri.

Intanto però auguri a tutti quanti, in special modo ai miei lettori.

.in foto: Uomo allo specchio rotto, di Mino Ceretti