Arredi urbani
di Itu

La storia passa occupandosi di riciclare tutto quello che già è passato, anche i piccoli particolari colpiscono solo chi conosce la ruota che gira intorno alle nostre vite.


Anche intorno a noi, nel comune muoverci per le strade possiamo riconoscere la crisi e cerco allora di capire il senso che permette la licenziosità della discriminazione che il senso estetico in ognuno di noi muove.

Per esempio sono incappata due volte nello stesso dilemma: cittadina del sud, circa due anni fa, nel pieno centro storico un bar si avvaleva di un divano enorme di finta pelle bianco di chiara provenienza degli antichi night club anni ’70, un riciclo che mi ha fatto accapponare la pelle soprattutto nel cercare un intreccio tra lo splendore di pietre antiche e quel peso che fu trasportato dal buio fumoso di locali dimenticati.

Mi ritrovo in frettolosi passi in una località rivierasca del Garda qualche giorno fa e fuori da un bar ancora quei puf trapuntati in finta pelle di colori fluorescenti che tradiscono ancora l’origine in locali notturni scaduti dell’effimero e tenebroso vivere in decenni passati.

Che si tratti di stock svenduti in grande fretta non ci sono dubbi, sinceramente non riesco a capire perché mi senta tanto imbarazzata piuttosto che la visione di cassonetti a scomodare la vista sul lago o altri impicci che ci siamo inventati per rendere divertenti i nostri percorsi.

Certo è che gli spazi stanno prendendo forme, colori e rumori che pescano materiali che stridono, ma forse solo per chi ha ricordo della loro provenienza.

Ci vuole coraggio a reinventarsi l’uso delle cose che ci sono rimaste, ma tutto sommato può essere anche divertente provare nuovi panorami.