Fravecature
di Laura

E' una poesia di Raffaele Viviano del 1930 tratta da "I Canti del lavoro", a dimostrazione che il tempo passa ma i problemi restano

 
Fravecature è una poesia di Raffaele Viviani scritta più di cent’anni fa e quanto mai attuale.
Tratta le morti sul lavoro.
Quando il Viviani scriveva questa poesia si era in pieno fascismo e proprio per il carattere provocatorio del tema in questione, la censura e il silenzio della stampa erano normalità.
 
E’ noto che Viviani fu a lungo etichettato come autore di sinistra, per cui fu osteggiato e boicottato dal fascismo, che mal sopportava il modo di rappresentare Napoli da parte dell’artista, che dovette capitolare e scrivere al capo del regime per evitare provvedimenti che gli avrebbero impedito di lavorare.
 
La poesia in originale è in napoletano, di seguito si propone la traduzione in italiano.
 
Muratori
 
Sotto la pioggia e al sole lavora il muratore
con in mano la cazzuola
sospeso su un’impalcatura,
fuori, al quinto piano.
Un piede in fallo,
un movimento sghembo,
e vola come un angelo:
prima di giungere, è morto.
Un grido e poi accorrono:
gente e muratori.
– Ancora respira… è Ruoppolo!
Ha due bimbi piccoli!
Lo sollevano e lo allontanano
su una barella a mano.
Si muove ancora l’asse
fuori al quinto pianto.
E passa questo corteo,
più di uno lo rincorre;
mentre un altro, sull’impalcatura
canta e continua a lavorare.
Per terra un mucchio di calce
nasconde la macchia di sangue,
e gli schizzi si diffondono
con le scarpe sporche di fango.
Quando giungono all’ospedale,
la folla resta fuori,
e chi è a conoscenza della disgrazia
racconta com’è accaduta.
E intorno il popolo:
– Madonna! – Avete visto?
– Dal quinto piano! – Vergine…
– E come… Gesù Cristo…
Poi appare, pallido,
chi l’ha accompagnato:
e, prima che gli chiedano,
fa segno che è spirato.
Col freddo nell’anima,
la folla s’allontana;
già si accendono le luci della sera;
la strada diventa tortuosa.
A casa, poi, i compagni
smorti, poveri figli,
lo raccontano alle famiglie
a tavola, mentre mangiano.
Le mamme abbracciano i figli,
lo sposo abbraccia la sposa…
e una moglie, trepidante,
attende e non s’acquieta.
Si affaccia al balcone,
sente l’orologio: le nove!
Recita un rosario…
E aspetta e non si muove.
L’acqua si consuma in pentola
per il troppo bollire,
il fuoco è fatto cenere.
Si sente una campana.
I piccoli piangono
perché vogliono mangiare:
– Mamma, mettiamo a tavola!
– Se non viene papà…
La porta! Bussano:
– È lui? – Va ad aprire.
– Chi siete? – Il capo d’opera.
Ruoppolo abita qui?
– Sì, qualche disgrazia?
Vedo tanta gente…
– Calmatevi, vestitevi…
– Madonna! – Non è successo niente.
– È scivolato dall’impalcatura
dal primo piano. – Uh, Dio!
Ed è all’ospedale? – È logico.
– Uh, Pasqualino mio!
I due piccoli sbarrano gli occhi
senza intendere;
la mamma, disperandosi,
si vestì in un lampo,
e li chiude in casa; e scendendo
i gradini con una candela.
– Donna Rache’ – Mio marito
forse è al Pellegrini.
È scivolato dall’impalcatura.
Sì, dal secondo piano.
E man mano quest’impalcatura
sale piano piano.
– Ditemi, fatemi capire.
– Coraggio. – È morto?! – È morto!
Dal quinto piano. Dall’impalcatura.
Mise un piede in fallo.
Per il dolore, senza piangere,
cade e perde i sensi.
È Dio che dà una pausa
A tutte le sofferenze.
E quando la riaccompagnano a casa,
trovano i piccoli
a terra, addormentati. E brillano
in volto due lacrime.