César Brie e il suo teatro
di Davide Vedovelli

Il regista di "Karamazov", lo spettacolo teatrale tratto dal romanzo di Dostoevskij che sta riscuotendo successo in tutti i teatri d'Italia, si svela con lo Spaccadischi.

Per prima cosa voglio ringraziarti di cuore per aver accettato subito di rilasciarmi questa intervista. E' giusto che io mi presenti. Mi chiamo Davide, ho 28 anni, nella vita faccio il tecnico radiologo e per passione (e gratuitamente) mi occupo di musica e teatro. Sono socio del Club Tenco e scrivo per il quotidiano on line www.vallesabbianews.it, curo anche il mio blog www.spaccadischi.wordpress.com. Perchè lo faccio? Credo che la risposta sia in una bellissima frase di Vinicius de Moraes “la vita, amico, è l'arte dell'incontro”... e credo sia davvero così, o almeno lo è per me. E come mi scrisse in una dedica un carissimo amico che risponde al nome di Lorenzo Monguzzi e fa il cantautore: chiacchierate intelligenti aiutano a vivere meglio. Partiamo qui.

Quali sono stati gli incontri più importanti per la tua vita? Sia quella professionale che personale.
Iben Nagel Rasmussen, la mia prima maestra e mia prima moglie. Antonio Attisani, il mio maestro intellettuale. Gabriel Martinez, antropologo, il mio padre spirituale in Bolivia. José Antonio Quiroga, editore e amico. Giampaolo Nalli, Mia Fabbri, Ana Maria Narvaja, Marina Luzzoli i miei allievi. Le letture, e dentro le letture: Cervantes, Cejov, Dostoevskij, Shakespeare, Pinter, Pessoa, Juarroz.
Le mie figlie Greta e Lupe, la mia sorella Carola, i miei fratelli Juan, Nora e Sebastián, Jorge Almeida, mia madre quando mi scriveva, Roberto Bacci, Tobia, Carmelo Bene. Il lavoro di Kantor, di Brook, di Pina Bausch, del primo Teatre de soleil, di Grotowski. Le generosità di Barba e la sua ostilità. I miei colleghi, in particolare gli attori e dentro questi il lavoro di Eduardo, di Troisi (come attore). I miei amici Giancarlo Gentilucci, Tiziana Irti, Fernando Marchiori e Silvia Raccampo.

Le scelte che hai fatto, affrontando temi scomodi, cosa hanno implicato? A cosa hai dovuto rinunciare? Ne è valsa sempre la pena?
Le scelte hanno implicato minacce, diffamazioni, attacchi, attentati e un pestaggio. Ho dovuto rinunciare a un po' di libertà nei movimenti e finalmente -ma non solo per questo motivo- ho deciso di andarmene dalla Bolivia. Ne è valsa la pena. Assolutamente.

Il tema del viaggio, non solo come spostamento fisico, ma anche come conoscenza, incontro e scontro tra culture diverse, quanto è importante e come influenza il tuo modo di fare teatro?
Il viaggio come tema non l'ho affrontato se non alla luce degli emigranti in due lavori: Il cielo degli Altri e l'Odissea. Ma il viaggio ha influito tutta la mia esistenza. Come esilio, come spostamenti del mestiere, come distanze. Ho imparato che non esiste un centro, che ogni realtà crede di essere il centro di se stessa, che chi non conosce e non viaggia con il pensiero rischia di creare in modo molto veloce pregiudizi sugli altri. Contrariamente a quello che si pensa nel primo mondo, è proprio l'opulenza a addormentare le coscienze e far dilagare la stupidità.

Qualche anno fa un ministro italiano disse che con la cultura non si mangia. Questa affermazione, oltre a non essere veritiera perchè “l'industria della cultura” da lavoro a migliaia di persone in Italia, credo sia pericolosa e fuorviante. Un paese che non investe nella cultura e nella scuola mi fa paura perchè non abitua il popolo a pensare. Tu che attraversi la penisola in lungo e in largo calcando i palcoscenici di numerosissimi teatri che aria respiri? Che fotografia riesci a fare della situazione italiana riferito al settore della cultura ed in particolar modo del teatro?
Credo che la decadenza sia visibile a tutti. La cinghia oggi la devono stringere anche quelli che di solito erano protetti. Si va verso il patatrac. Credo, per il teatro, che si giunto il momento di partire di nuovo dalle proprie forze. Ristabilire un rapporto col pubblico (il proprio pubblico non il mercato in generale), il pubblico in quanto testimone e farsi sostenere dallo stesso. Oggi, si produce in modo affrettato perché nessuno ormai può finanziare una ricerca vera. Gli stabili di ricerca non hanno funzionato come mediatori e sono diventati strutture pesanti e a rischio. Gli artisti che esprimono il disagio (i migliori) non sanno dove rivolgersi per poter lavorare.

Sei mai stato censurato? Cosa spaventa il potere?
Se censura significa impedirmi di dire quello che pensavo, no, nessuno ci è riuscito. Se censura significa aggressione fisica, minacce, attentati, incitamenti al linciaggio, sì, sono stato censurato.
Se censura ha significato occultare i miei lavori e fare in modo che non li possa mostrare, sì, sopra tutto coi miei documentari. E in Italia forse col disinteresse di molti teatri e gestori che non mi programmano mai nelle loro teatri e città.
Il potere è terrorizzato dalla verità.

Stai portando in giro lo spettacolo “Karamazov” riempiendo i principali teatri italiani. Perché questa scelta? In che modo è attuale e importante oggi questo spettacolo?
Karamazov è uno dei romanzi che mi hanno sconvolto. Tutti i suoi temi mi sembrano urgenti e mi riguardano.
Chi ha criticato lo spettacolo lo ha fatto con la pretesa che Dostoevskij fosse molto più "profondo". Vedono di Dostoevskij solo il lato cupo e non se ne accorgono dello stile straordinario, del suo senso dello humour, della sua crudeltà. Dostoevskij è immenso. Ho scelto un nucleo di attori giovani coi quali ho deciso di proseguire e creare una compagnia, aperta ad altre esperienze ma una compagnia.

7) Come tradizione delle mie interviste l'ultima domanda, se ti va, puoi farla tu a me. Grazie di cuore e un abbraccio.
Davide


La domanda è: il tuo libro? Il tuo spettacolo? Il tuo film? Un abbraccio César.

Il mio libro è “Narciso e Boccadoro” di Herman Hesse, il mio spettacolo “Novecento” di Baricco e il mio film “Amici Miei” di Monicelli.