Dieci giorni nella terra delle aquile - tre
di Ezio Gamberini

Terza puntata - venerdì 14 agosto. Questa mattina non possiamo esagerare, abbiamo fretta, così le partite a biliardino con Paolo saranno soltanto quattro o cinque...

 
...(e quando abbiamo premura arriviamo non al dieci, ma al meglio dei cinque).
Dopo avere attraversato Burrel e proseguito per una mezz’oretta, dal lago saliamo a destra per raggiungere Ulz, che avevo già visitato sette anni fa. Prima di entrare in paese si può ammirare la diga in tutta la sua maestosità.
Finalmente potrò ammirare la chiesa di S. Marco terminata, perchè a suo tempo c’era ancora la “sala culturale”, utilizzata negli ultimi anni come cinema, che domina la piazza e le case sottostanti del paese, che è proprio grazioso.
 
Paolo è il sindaco, amico di don Gianfranco e della missione, e pure di Ezio, Pierenzo, Mario, Alberto e tanti altri vobarnesi conosciuti nei loro precedenti viaggi in Albania.
Ci offre un caffè al bar del paese, dal cui terrazzo si può godere un panorama incantevole del lago.
Paolo è un personaggio davvero straordinario, primo cittadino di Ulz da poco tempo, che ha vissuto alcuni anni in Italia.
 
A suo modo è un sindaco rivoluzionario, perchè per la prima volta è riuscito a far pagare delle imposte comunali ai suoi concittadini, ma facendo loro capire che l’esborso è a beneficio del bene comune.
Che l’aria è cambiata l’ha capito, ad esempio, quando alcuni cittadini hanno cominciato a lamentarsi dei ritardi nella raccolta dei rifiuti (che purtroppo, in Albania, sono destinati ad essere ammonticchiati, ed ogni tanto bruciati; attraversando le vallate sono innumerevoli i pennacchi di fumo che n’attestano l’esistenza e, d’altra parte, anche nella missione avviene altrettanto).
 
Senza parlare della costruzione delle fognature, appena iniziata da Paolo, che in paese non sono mai esistite!
Certamente vi è anche il rovescio della medaglia, perchè all’inizio non era molto amato, e ritengo che la custodia che pende dalla sua cintura, stranamente vuota, non sia esattamente un porta telefono...
Il primo cittadino c’illustra queste cose con vera passione, ed all’improvviso qualcuno di noi urla “Viva il sindaco!” e parte un applauso fragoroso e spontaneo, che lo coglie meravigliato e commosso.
 
Gli chiediamo di poter visitare la centrale idroelettrica; sarebbe un bel colpo vedere la diga dall’interno.
Fa una telefonata: si può! Ci accolgono le maestranze, in testa il direttore, un giovane ingegnere, che ci guideranno nell’esplorazione.
Dapprima scendiamo, scalino dopo scalino, per alcune decine di metri, fino a quando scorgiamo delle turbine enormi.
Serafino è iper-agitato, chiede e s’informa meticolosamente.
La centrale è stata costruita dai russi nel 1957 e fino al 1975 ha fornito energia elettrica a tutta l’Albania (bisogna però tener conto che per ogni casa c’era una lampadina...).
In questo momento produce 100 milioni di KW/ora l’anno, ma il suo potenziale è di 150 milioni ed i dipendenti sono una sessantina.
 
Risaliamo le scale ed entriamo finalmente nella “sala comandi”: sembra di essere in un film di 007 anni ’60; una miriade di indicatori e comandi, pannelli, cartelli, tutti rigorosamente originali ed in carattere cirillico. Ve n’è uno, però, in particolare, che attira la nostra attenzione, in lingua albanese; lo facciamo tradurre.
Il cartello, scritto in grassetto, ammonisce: “Attenzione! E sempre attenzione, CHE CON LA TENSIONE SI SBAGLIA UNA VOLTA SOLA!”
 
Poco prima di uscire sostiamo un attimo sul piazzale dove fa bella mostra di sè un bunker di forma semisferica il cui diametro misura un paio di metri, rudere superstite dei settecentomila che il dittatore Enver Hoxha fece costruire per “difendersi” dal “pericolo occidentale”.
Viaggiando per l’Albania, se ne incontrano di svariate misure, sia in pianura sia in montagna. “Qui c’era anche una statua di Marx - ci rivela qualcuno che in quella centrale vi lavorava già allora, indicando un piedistallo accanto al bunker - Nel 1990 la facemmo volare nel fiume, che scorre una trentina di metri più in basso”.
 
Dopo i saluti ci dirigiamo verso Baz, che dista circa un quarto d’ora di macchina.
Quassù vi hanno lavorato i vobarnesi, a più riprese, ed il risultato degli sforzi è davvero notevole: una bella casetta costituita da una cucina accogliente e spaziosa, un elegante studio, due camere, ed al piano terra una grande stanza in cui pranzeremo. Ad una decina di metri c’è la chiesa, bella e spaziosa, che solo fino a qualche anno fa si presentava come un rudere, senza tetto, e tutto attorno, disseminate entro il diametro di quattro-cinquecento metri alcune tombe, singole o riunite in gruppi, che provocano un effetto particolare, non sgradevole ma insolito e misterioso; neppure a Washington, nel cimitero di Arlington, che ho visitato nel 2004, dove ci sono migliaia di lapidi e croci, ho provato simili sensazioni.
 
Voglio andare a visitarle.
Scopro la seconda “fissazione” degli albanesi, dopo quella dei matrimoni.
Queste tombe sono bellissime, contornate di marmi pregiati e fregi preziosi, chissà quanto sono costate! M’informo, ed apprendo che dopo il matrimonio, il funerale è tra le cause principali di indebitamento per queste genti.
Ed il rapporto col defunto è vissuto intensamente: non di rado le famiglie nei giorni di festa si recano sulle tombe dei loro cari sostando per pranzare, ed ho visto appoggiate su alcuni marmi caramelle, o sigarette, oppure bigliettini contenenti dei messaggi, quasi ad emulare l’antico Egitto e le arcaiche tradizioni funerarie.
 
A sera ceniamo in un ristorante alle porte di Burrel: antipasti di verdure cotte e alla piastra, formaggi di capra, una prima portata di carne, una di pesce e poi ancora una di agnello, con birra a volontà.
Il prezzo? Otto euro a testa!

Tratto dal volume “Ai cinquanta ci sono arrivato” – Ed. Liberedizioni