Karamazov «pop» nell'arte sublime di César Brie
di Davide Vedovelli

Teatro Sociale tutto esaurito per la seconda replica dello spettacolo di ispirato al testo di Dostoevskij

 

Si sa che gli autori Russi, fosse anche solo per i nomi dei protagonisti e la moltitudine di personaggi implicati nelle loro storie, non sono quasi mai di facile lettura; se poi parliamo del mostro sacro Dostoevskij il discorso si amplia. Non solo è importante rendere comprensibile e fruibile il testo, ma è necessario trasmettere l'anima che l'autore ha messo in quelle parole, coinvolgere lo spettatore con la testa, la pancia ed il cuore. Questo per far si che lo spettacolo non si riduca ad una cronistoria cristallina ma diventi un tumulto emotivo, che lasci allo spettatore quelle domande che Dostoevskij sa così bene insinuare nella mente del lettore, che quando finisci un suo libro non riesci ad addormentarti subito.
Esperimento quasi totalmente riuscito, grazie ad una compagnia di giovani attori eccezionalmente bravi, che passano con disinvoltura dal canto alla danza, al muoversi come se fossero burattini legate ai fili. A rendere più chiara la storia ci pensa una voce narrante in terza persona, voce che allo stesso tempo è un personaggio della scena. Questa ruota teatrale orchestrata da César Brie rende dinamica la scena e le due ore di spettacolo scorrono senza troppi cali di tensione.
Agli spettatori, tutto esaurito ricordiamo, si è presentato un palco spoglio, senza le quinte, con gli attori che già prima dell'inizio dello spettacolo stavano seduti su panche poste lateralmente, panche che poi saranno gli unici elementi scenici oltre agli appendiabiti appesi ad alcuni elastici sul fondo.
Le musiche sono stato suonate dal vivo da un pianista, accompagnato a tratti alla chitarra da uno degli attori. La dimensione che si è creata è stata quella “dell'informale di altissimo livello”. Senza fronzoli, colpi di scena od effetti speciali; e la bravura degli attori unita alla costruzione scenica non ne ha fatto percepire la mancanza.
La bravura di Brie sta proprio nella costruzione della sena, nel far avanzare ed indietreggiare gli attori, nel farli camminare verso la luce o farli perdere nella semioscurità. E poi c'è lui, con la voce che lascia intuire un accento sudamericano e una capacità straordinaria di calamitare l'attenzione, sprigionando carisma magnetico su attori e spettatori.
Uno spettacolo “pop” perché popolare quindi, fruibile al grande pubblico, ma che pur parlando a tutti non si piega a compromessi, non scade nel banale, non cerca lacrime facili ma prova a far riflettere sulle emozioni e le domande insite nel testo.
Applausi lunghi e sinceri per una compagnia teatrale di rara bravura e passione.