Camillo Comini: una vita da fabbro tra i vicoli di Nave
di Fonte: Barbara Fenotti, «Giornale di Brescia», 25 novembre 2012

Una storia artigiana che è giunta alla terza generazione, iniziata da quel nonno Camillo di cui il 56enne navense porta il nome e avviata in maniera ufficiale dal padre Giovanni con una bottega nella quale lavora da 41 anni

 
L’inoltrarsi del XXI secolo e la crescente spersonalizzazione di quello che una volta era il sacrosanto mestiere di artigiano minacciano di ricoprire con una coltre di sgargiante e frenetica modernità quei modesti e arcani luoghi di ricordi che costituiscono la trama tradizionale di un paese.
 
Ma in alcuni sporadici casi le memorie riescono a sopravvivere nutrendosi di una rispettosa fiducia che si rinnova pulsando dal passato.
 
Percorrendo in lungo e in largo le strade di Nave ci si accorge di come il progresso abbia trasformato la fisionomia di questo paese. Capita però, percorrendo via Sorelle Minola, un tempo nota come via de Puss, di imbattersi in un pittoresco quadro paesaggistico che pare incorrotto dall’incedere del tempo.
 
Ai veterani di Nave l’allusione farà sbocciare un sorriso di familiarità e prontamente l’immagine di Camillo, in arte «el saldadùr» (foto 3), farà capolino. Cinquantasei anni, fabbro nell’officina fondata dal padre Giovanni e dallo zio Guido nel 1959, Camillo Comini è un personaggio storico che con la solerzia dell’uomo di una volta si fa beffe del progresso e da 41anni onora l’attività tramandatagli dal padre.
 
L’officina dei Comini inaugurò il proprio operato costruendo per l’acciaieria Stefana uno dei primi grandi forni rotanti da riscaldo. Lavorando nell’arco degli anni per le ditte del paese e per pochi privati, i Comini consolidarono la propria fama guadagnandosi la fiducia di tutti come figure di artigiani alchimisti per i quali meccanismi e ingranaggi non avevano segreti.
 
Fu nonno Camillo il primo a decantare l’arte di Vulcano, travasandola poi nei figli. «Quando la gente aveva bisogno di riparare qualche arnese bussava all’officina di mio padre che saldava il saldabile e puntualmente rifiutava le cinquecento lire che gli venivano offerte...», ricorda commossala figlia Lina, aggiungendo che meno di un mese si celebreranno i trent’anni dalla sua scomparsa.
 
Chissà che reazione avrebbe scoprendo che il frutto del suo lavoro campeggia ancora, incurante delle trasformazioni, in quel bel quadro originale situato «’n fond a la Piasa».Â