L'inautentico mondo della tecnica non esiste
di Alberto Cartella

Partendo da una visione filosofica secondo cui ogni realtà si fonda su un discorso, l'approfondimento settimanale del giovane filosofo saretino ci dice che vi è un avvolgimento reciproco fra noi e la tecnica

 

A volte si esprime un grido d’aiuto, un appello e la risposta è costituita da una pernacchia. Questo però non vuol dire che rinunci a confidare nella disposizione all’ascolto degli altri.

 

Gli individui – non i soggetti – che non intendo convincere sono soprattutto coloro che non hanno alcun interesse all’analisi della soggettività (definita non a caso da questi individui “aria fritta”) come lento processo di auto-esplorazione.

 

Si tratta degli individui che non rivolgono all’Altro nessuna domanda di senso sulla propria sofferenza, ma saturano proprio col sintomo psicotico la mancanza di articolazione linguistica della domanda, il cronico e mortifero senso di vuoto che traduce l’assenza di un processo di soggettivazione, dunque l’inesistenza, o meglio la nuova insensatezza del desiderio inconscio.

 

Mi sto riferendo agli individui in cui non vi è un dispendioso e temerario delirio che isola dalla realtà sociale, ma un comportamento coattivo che aderisce perfettamente all’imperativo ottuso di godimento che questa realtà impone: il comando ‘Godi!’.

 

Ci sono due modi di fare filosofia: uno è legato al comprendere il mondo e si può dire che è il modo tradizionale della filosofia; l’altro modo è quello politico, quello legato alla costituzione della soggettività, a noi stessi e al godimento del discorso per sé. Ciò non vuol dire che quest’ultimo modo sia totalmente slegato dalla tradizione, in quanto ogni grande innovatore ama la tradizione. Quest’ultimo (quello politico) è il modo di fare filosofia che mi interessa. La concezione del mondo e il discorso filosofico tradizionale (il primo modo) al quale ho fatto riferimento è l’ontologia.

 

Fermarsi al verbo essere, allo studio dell’essere (è questo che vuol dire la parola ontologia) è un’accentuazione piena di rischi. Credere che ci sia una realtà prediscorsiva è il grande sogno, il sogno fondatore di ogni idea di conoscenza. Ciò è qualcosa che deve considerarsi mitico. Non c’è nessuna realtà prediscorsiva.

 

Ogni realtà si fonda e si definisce in base a un discorso. Non c’è la minima realtà prediscorsiva, perché quello che costituisce la collettività, ovvero gli uomini, le donne e i bambini, non vuol dire nulla come realtà prediscorsiva.

 

Per lungo tempo è sembrato naturale che si costituisse un mondo il cui correlato era, al di là del mondo, l’essere stesso, l’essere preso come eterno. Questo mondo concepito come il tutto resta una concezione, una veduta, uno sguardo, una presa immaginaria. L’idea dell’essere culmina in un violento sradicamento dalla funzione del tempo tramite l’enunciato dell’eterno (Jacques Lacan).

 

L’eterno è una creazione e credere che le cose stiano eternamente e che questa creazione coincida con l’essere delle cose costituisce la radice della violenza. Si suppone sin dall’inizio che qualcuno, parte di questo mondo, possa prendere conoscenza del suddetto essere. Ma c’è un inciampo dovuto alla vacillazione risultante dalla cosmologia che consiste nell’ammettere un mondo.

 

Dico questo perché ciò a cui sto cercando di approssimarmi già da qualche mese in questi articoli non ha nulla a che vedere con la critica al mondo della tecnica, anzi l’espressione “il mondo della tecnica” credo che abbia qualcosa di ridicolo.

 

Le immagini hanno sempre a che fare con la tecnica. Credere che ci sia un’autenticità al di là della tecnica e che la tecnica sia qualcosa di inautentico è uno degli ultimi inganni in cui è caduta l’ontologia anche contemporanea.

 

La tecnica mi restituisce qualcosa che ho visto ma che contemporaneamente non ho avuto coscienza di vedere. Pensiamo per esempio alla macchina fotografica o alla cinepresa, i quali sono mezzi ai quali cediamo costantemente; questo perché ci restituiscono qualcosa che riguarda la costituzione della nostra soggettività.

 

Vi è un avvolgimento reciproco fra noi e la tecnica, come fra noi e il capitalismo. La tecnica, come il capitalismo, sono struttura, organizzano la nostra vita. Siamo avvolti da queste cose. Il capitalismo crea cose feticcio, le quali sono mitiche e non ci può essere un'etica separata dal capitalismo. Ne siamo avvolti e coinvolti, anche se non se siamo determinati.

 

Il capitalismo è una cosa e non è un oggetto da studiare, vi è appunto avvolgimento reciproco fra noi e il capitalismo. E la stessa cosa vale anche per la tecnica. Questo però non vuol dire che tutto si riduca al capitalismo o alla tecnica.