Tutto un giramento di cause
di Leretico

Aristotele una mattina di buon ora riuscì a raccogliere un pensiero dal frutteto della sua ampia mente e lo volle subito fissare in uno scritto: il rapporto tra causa ed effetto era di tipo lineare...

 
Ma come è possibile? chiedevano i suoi liceali studenti, e Aristotele, con un diavolo per capello, anzi no, con un Ade per capello, perché il diavolo non era stato ancora inventato, si dovette sforzare di identificare ben quattro cause di tipo lineare, da buon genio non si risparmiava mai di fronte ai giovani.
 
Fu così che la causa materiale si trovò insieme alla causa efficiente, ed entrambe unite a quella finale e a quella formale.
Non chiedetemi ora di spiegarvele, non ho lo spazio e le doti faconde del nostro Aristotele, che in fondo era uno che non mollava.
Fu un po' dimenticato per qualche secolo, ma chi non soffre di emarginazione alla sua età.
La sua filosofia ci ha tenuto in scacco per parecchio tempo e sulla questione delle tipologie di causa conta ancora moltissimi fans, da fare invidia a qualsiasi frequentatore di Facebook che ne possieda una pagina.
 
Aristotele è un po' come il prezzemolo, lo trovi ovunque, quindi ho pensato di fargli un piccolo omaggio, in modo che mi lasci continuare senza troppi fastidi e mi permetta di introdurre la scienza cosiddetta classica che, basandosi sul nostro prezzemolo, arrivò ad affermare con assoluta certezza che date le cause si determinano precisamente certi effetti.
 
Siamo nei secoli XVIII e XIX, un epoca di "precisini" come non se n'erano mai visti.
Mi sembra di vedere come se fossero qui davanti a me, i visi colmi di prostrata delusione di quei poveri sfortunati che dovevano sorbirsi Laplace e i suoi demoni.
Dovendo scegliere avrebbero preferito sicuramente i demoni. Non era che a Laplace puzzasse l'alito più di quello dei demoni, noti adoratori di pietanze a forte base di aglio, ma era troppo petulante, fino all'imbarazzo appunto.
Era talmente determinato nel voler "tritare" le avventurose e irriverenti obiezioni del prossimo, che anche Napoleone, nauseato, lo premiò per disperazione.
 
Un giorno quell'impenitente di Hume osò ribellarsi al pensiero demoniaco (non nel senso negativo cristiano, ma nel senso del demone tuttologo dall'alito improponibile di cui sopra) di Laplace, ed entrando a gamba tesa, affermò che causa ed effetto sono collegati, ma non c'è un legame necessario tra loro (post hoc, ergo propter hoc).
 
Questi inglesi, sono i soliti guastafeste.
Ci andava così bene che il mondo fosse regolato in modo deterministico che ci sentimmo defraudati di una sicurezza.
I sofismi sono un pane molto dolce e guai a chi ce lo tocca.
Allo stesso modo di un lavoratore che, sei mesi prima di andare in pensione, si sente dire che ha altri sei anni di lavoro da fare (gli stati anche al tempo di Hume godevano della stessa sagace prontezza di riflessi della nostra odierna pubblica amministrazione che confonde i mesi con gli anni), così sull'incazzato andante ci rifiutammo di accettare questo affronto.
Ma come, allora ci prendete in giro!
E si diventò diffidenti.
 
Tutto cambiò con l'astro fulgente di Kant, benedetto anche lui.
Ci rinfrancò, ci illuminò (imperversava l'illuminismo in quegli anni del XVIII secolo) con le sue "categorie" e il suo imperativo, che ancora oggi ci stressa proprio perché in Italia tutto è imperativo, tanto imperativo quanto probabilistico. Nel senso che tutto ciò che ci viene imposto (imperativo) diventa impossibile da realizzare (probabilistico per essere generosi) per questioni di orgoglio.
 
Insomma agli imperativi non partecipiamo così spontaneamente e soprattutto non per questioni etiche.
Abbiamo sempre bisogno di una piccola spinta, una crisi finanziaria mondiale, per esempio, che ci fa accorgere che ci stanno rubando tutti i soldi con le regioni e le province.
Che ci volete fare, certi motori prima di partire hanno bisogno di manovre speciali, magari un po' fiscali. Figuriamoci la teorizzazione filosofica del senso del dovere verso la comunità, argomenti qui da noi buoni per le barzellette.
 
Kant si mise la causalità sotto braccio come un giornale, e preciso come un orologio, con in mano sempre il suo ombrello, all'ora stabilita per la sua passeggiata, la portò, la causalità, un po' a spasso.
È stato fantastico: ci ha consentito di credere nella prevedibilità del futuro, mica poco.
Poi inserì la causalità nelle sue dodici categorie.
 
Era anche solito dire che passeggiare facesse bene alla salute, ma io non sono veramente convinto della cosa: secondo voi in Germania le passeggiate hanno una minima speranza di farci provare piacere e non acuti attacchi di dissenteria per aver preso freddo alla pancia, per esempio?
Ma Kant era un gran ottimista e credeva nel clima del suo paese.
Meno male che sul tempo in Germania non la pensano tutti come lui, altrimenti Rimini non avrebbe clienti.
 
Ma torniamo alla sua passeggiata e metaforizziamola facendola arrivare dal 1804, morte di Kant (non di dissenteria ma di vecchiaia) fino a Wittgenstein che nel 1923 ci riporta nel baratro: secondo lui la credenza nel nesso causale era una superstizione.
Vergogna! Con tutte le superstizioni che già c'erano, ci mancava di aggiungerne un'altra.
Il nesso, che non è il marito di Nessie, il mostro di Lochness, ma è il legame tra causa ed effetto, per Wittgenstein era un'invenzione.
Peggio ancora con la meccanica quantistica, che nel 1924 ci diede il colpo finale dicendo addirittura che la causa è "indeterminata".
Ci allontanammo definitivamente dalla costa sicura del determinismo.
Ma insomma, non c'era proprio più religione! Ops! Non religione, altrimenti chi li sente gli atei scientisti pronti a fulminarmi come Zeus l'iracondo.
 
E chi l'avrebbe mai detto che della causa non v'era più certezza, come il Magnifico recitava. Ah, no, mi sbaglio ancora: era del "doman" che non v'era certezza ma chi volete che si accorga di queste sottigliezze, la poesia non la legge più nessuno.
Tutti pensano al moderno, a internet.
Tutti aspirano alla cibernetica del web. Io mi accontento della cibernetica normale, l'unica che c'entra con il titolo.
Altrimenti che figura ci farei se il titolo non si capisse.
 
Sì, perché con la cibernetica le cause cominciano a girare, e girano nel senso che gli effetti sono così malandrini da esplicarsi, riflettersi, sulle cause generatrici.
Un gran casino insomma, non ce ne potevamo stare con le nostre cause lineari, semplici come i grissini che si mangiano prima della pizza?
Come si fanno a mangiare i grissini circolari? È un affronto!
 
E non basta: se ci sono dei ritardi tra causa ed effetto la complessità aumenta. Altro che grissini lineari e semplici, qui a furia di far girare le cause, ci tocca mangiare gli spaghetti.
Vedete? Alla fine si va a finire sempre con gli spaghetti, che non è una brutta cosa visto che c'è anche un fenomeno, nella teoria del caos, che si chiama effetto spaghetti.
Ma almeno essere avvertiti qualche momento prima che arrivino, uno cerca di prepararsi. Sulla teoria del caos intendo, non sugli spaghetti.
 
Dai frutti di Aristotele il viaggio è stato molto lungo.
Ci abbiamo messo secoli e numerosi morti bruciati in spettacolari autodafé per passare dalla causalità lineare a quella circolare e ancora dobbiamo assistere a pietosi discorsi politici che ci infliggono tagli lineari.
Tagliati sì, ma non linearmente, altrimenti ci arrabbiamo.
 
Siamo in grado ora di reagire a quelli che vogliono turlupinarci con le loro frasi: le tasse sulla casa e sulla benzina sono dolorose ma necessarie. Oppure: gli evasori sono immorali.
Ci fanno solo girare molto le "cause" giusto per essere in tema.

Leretico