Restare bambini è giusto?
di Erregi

La chiamiamo sindrome di Peter Pan e implica il rifiuto o l’incapacità di crescere ed assumersi le responsabilità che derivano dalla maturazione

Quando siamo piccoli sogniamo cosa fare da grandi, ma alcuni di noi, poi, quando diventano grandi, non fanno altro che rimpiangere la spensieratezza della gioventù. Nulla di male nel restare sempre un po’ bambini, ma che fare se il semplice rimpianto diventa vera e propria condizione patologica?

Come un fanciullo, il soggetto affetto da sindrome di Peter Pan, rifiuta le regole del mondo degli adulti e le sente come un’imposizione, rintanandosi in un’adolescenza prolungata e comportandosi come un ragazzino.

Da qui, la metafora con Peter Pan, l’eterno ragazzino protagonista del libro di James Matthew Barrie del 1904, che si rifugia in un’isola immaginaria, ritagliandosi uno spazio nel quale i bambini restano sempre tali, senza nessuna interazione con il noioso e restrittivo mondo degli adulti.

Il termine “Sindrome di Peter Pan” deriva da un libro di Dan Kiley, edito nel 1983, e dal titolo, appunto “The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up”, ovvero, “uomini che non sono mai cresciuti”. Sebbene la sindrome non sia scientificamente riconosciuta come disturbo mentale, non è così raro avere a che fare con persone che rifiutano di assumersi le responsabilità che l’età adulta implica.

L’immagine del “puer aeternus”, in latino “eterno fanciullo”, è rappresentata in molte opere letterarie e rappresenta colui che, passata la fase strettamente biologica e fisiologica dell’essere ragazzino, continua a scegliere di restare immaturo i eterno.

E ciò non significa solo ricordare di essere stati bambini e continuare a vivere con la consapevolezza dell’importanza di momenti di gioco e divertimento, altrimenti saremmo tutti soggetti patologici, la sindrome va ben al di là di questo.

Il mondo di un soggetto con tale affezione, è costruito solo intorno alle sue esigenze, tutto è possibile e non c’è spazio per altri: l’egocentrismo e l’incapacità di fare i conti con il mondo esterno sono caratteristiche abbastanza generalizzate dell’eterno ragazzino, insieme alla convinzione di bastare a se stesso e di non avere bisogno di null’altro.

Sembra affascinante poter vivere la vita come un bel gioco, ma bisogna ricordare che ogni gioco ha le proprie regole e, se nessuno le rispettasse non ci sarebbe nemmeno divertimento o condivisione: ognuno gioca da solo, con il proprio regolamento e non si trova una via d’incontro con l’altro.

Ed è esattamente questo, in molti casi, il vero problema dei tanti Peter Pan che incontriamo sulle nostre strade: il loro egoismo arriva ad estremi tali da farli sentire soli, ecco allora, che il bambino divertente diventa cinico e non crede più a nulla, il tutto, spesso, senza il conforto di qualcuno accanto, data l’incapacità di creare legami fissi che caratterizza molti eterni bambini.

Non esiste una cura a tale patologia, in quanto diventa tale per scelta stessa del “malato”, che assumendo un certo comportamento e portandolo avanti ad ogni costo, ci rimane intrappolato e, a meno di utilizzare tutta la propria forza di volontà per reinserirsi, chiaramente in modo graduale, nel mondo reale, sforzandosi di diventare adulto.

Molti di noi ricordiamo l’infanzia come il periodo insieme più bello e divertente della nostra vita, ma come dice un saggio proverbio, il gioco è bello proprio perché dura poco: se tutta la nostra esistenza fosse un gioco, ce ne stancheremmo ben presto, in quanto è solo paragonando la responsabilità e la serietà con la spensieratezza, che apprezziamo davvero i nostri momenti di leggerezza.

Rifletteteci, eterni ragazzini, e magari potreste scoprire che quello che vi serve per godere davvero dei bei momenti gioiosi che la vita ci offre, è proprio una maggiore dose di responsabilità e doveri.